Ho accettato con entusiasmo l’invito a partecipare alla presentazione dell’ultima creatura nata dalla penna di Franco Festa Il respiro del male, perché come si può dedurre dal titolo e come già mi era stato accennato si tratta di un romanzo giallo. E non nego che preferisco i gialli ai racconti noir, poiché amo seguire le indagini che vengono condotte per risalire alla verità. Devo anche confessare che appena mi è stato anticipato che il corpo senza vita della vittima, una giovane donna, era stato ritrovato nel cortile di un liceo, sono rimasta per un attimo perplessa ed ho pensato a qualcosa di profetico. Tuttavia, ho letto il romanzo, che sin dalle primissime pagine mi ha subito magnetizzato e da semplice lettrice, con profonda modestia e al contempo ammirazione per l’autore, intendo esprimere le mie riflessioni sui vari aspetti rilevabili in questo romanzo di Franco Festa, romanzo che, non essendo un semplice giallo, suscita davvero tante riflessioni, in quanto ci pone di fronte a diverse problematiche
Il respiro del male è un romanzo che, come il corso d’acqua presente nella storia, trascina il lettore con un ritmo travolgente attraverso le varie vicende fino a farlo giungere ad una conclusione imprevedibile, imprevista e sconvolgente. Di primo acchito il romanzo è ascrivibile al genere del giallo; ma continuando a divorare le pagine, veloci, l’una dopo l’altra, spinti dalla tensione e dai colpi di scena, ci si accorge che del giallo possiede solo la struttura, rintracciabile nell’intreccio circolare: il romanzo comincia con il ritrovamento - come dicevo- nel cortile di un liceo del cadavere di Claudia, una giovane commessa, poi viene ricostruita la successione dei fatti grazie all’investigazione condotta dall’ineccepibile commissario Melillo e attraverso passaggi sul piano temporale tra il presente delle indagini e delle varie storie familiari e di amicizia e il passato che ci trasporta nella vita di Claudia; e solo alla fine viene scoperto il vero colpevole. La struttura del giallo è, altresì, rintracciabile nel gioco che si istaura tra narratore e lettore: il primo dissemina indizi fuorvianti, creando continua suspense; il secondo cerca di giungere da solo alla soluzione, intravedendo il colpevole ora in Rocco, un avido costruttore, ora in Rino, il fidanzato di Claudia (il pensiero va agli attuali ed efferati fatti di cronaca), ora in Matteo, un commerciante, i cui occhi fanno trapelare la sua sporcizia interiore. Matteo, Rocco sono solo alcuni dei personaggi maschili del romanzo che da una parte sono ammaliati dalla bellezza di Claudia, dall’altra approfittano della rassegnazione della ragazza a che ognuno facesse di lei ciò che voleva.
Il respiro del male è il quinto di un ciclo di romanzi polizieschi di Franco Festa, nei quali, a parte la forma letteraria del giallo, manca l’elemento seriale, ossia non vengono rispettate del tutto quelle unità di tempo, luogo e azione, che Aristotele aveva indicato come condizioni necessarie per la tragedia, ma che si possono riferire anche al genere del giallo. Nei cinque romanzi le indagini non sono condotte da una squadra, ma sempre e soltanto dal commissario Melillo, affiancato ora da Carniti, ora dall’ispettore Vietri in Il respiro del male; le vicende sono calate ad Avellino, città che viene menzionata solo nel primo romanzo Delitto al corso e che per il resto del ciclo è individuabile grazie a questa o quella strada, a questa o quella località; così che Avellino diventa una cittadina qualunque in cui ogni lettore può rivedere la propria con le problematiche che finiscono per accomunare tutte. I delitti del ciclo sono ambientati in varie fasi della storia, che vanno dagli anni del secondo dopoguerra, precisamente dal 1946 anno in cui il venticinquenne Melillo arriva ad Avellino in Delitto al corso, per giungere alla primavera del 1980 nel romanzo Il respiro del male.
Il respiro del male presenta la tecnica delle scatoli cinesi: sulla storia principale si innestano altre vicende di scandali, di corruzione, di assenza di regole, di violenza.
Quindi, Franco Festa fa del giallo una cornice in cui inserire varie storie di personaggi, che sono artefici o vittime di diverse forme del male, male che si respira nella città e che coinvolge e schiaccia persone deboli, semplici, innocenti come Rino e Claudia, due giovani, che insieme ai loro coetanei, avrebbero potuto concedere alla città una possibilità di riscatto. La città da sfondo alle vicende diventa essa stessa un personaggio, che mette a nudo la sua parte nascosta, quella parte che circonda i suoi abitanti, ma che tutti fingono di non vedere, essendo ognuno attento solo alle proprie faccende e indifferente a ciò che accade intorno a lui. Trionfa l’idea che è sempre andata così e andrà sempre così: dice Melillo al magistrato. Tutto scorre secondo i soliti ritmi. La città è una specie di animale immenso, preistorico, capace di digerire ogni turbamento. Anche di coprire di vile silenzio il delitto di Claudia, a maggior ragione perché si tratta di una ragazza che proveniva dalla periferia della città, si tratta di una commessa, di una che non contava nulla e di cui non si doveva avere pietà. La città è fondata su questa dicotomia: una periferia povera e abbandonata, in cui sono relegati gli ultimi da una parte e il centro dominato dalla ricchezza e dal potere dall’altra. Il nuovo e il vecchio convivono disordinatamente, come se la città avesse perso l’equilibrio. Secondo Melillo, invece, c’era ancora un senso, una logica, perché c’è una logica anche quando essa sembra incomprensibile. Pertanto, il commissario Melillo va alla ricerca ossessiva della verità, ma soprattutto di quell’ordine che ormai è perduto nell’urbanistica della città in seguito alla costruzione di palazzi fuori da ogni regola; ordine che manca nella storia della città in seguito alle vicende accadute negli ultimi mesi: ragazzi come Gianni, Luca, provenienti da ottime famiglie ed educati nei licei da professori che volevano farne uomini liberi, sono diventati, invece, sudditi della violenza e, avendo imboccato la strada pericolosa del terrorismo, hanno sparato, ucciso in nome di ideologie folli e di progetti sanguinari, come li definisce l’ispettore Vietri arrivato al fianco di Melillo dal nucleo antiterroristico di Roma.
A rompere l’ordine contribuisce anche la storia d’amore tra Rino e Claudia, due giovani che, pur appartenendo a mondi diversi, hanno voluto infrangere le imperanti regole del perbenismo, sconvolgere i vecchi schemi mentali, ma sono rimasti vittima dei vecchi pregiudizi, pregiudizi che dividono le persone, che inducono a compiere il male.
Ma l’ordine che il commissario Melillo tanto si affanna a trovare a qualsiasi costo, non lo si ritrova né nel suo aspetto fisico: capelli ricci scompigliati, barba di qualche giorno, né nel suo abbigliamento: giacca e pantaloni che fanno a pugni, cravatta di colore orribile; evidentemente Melillo bada più alla sostanza che alla forma, perseguendo l’ordine nei suoi pensieri, nelle sue indagini, anche se Rocco pensa che il commissario si muova a tentoni. Ma Melillo lo smentisce, quando riesce a risalire a lui come mittente di un foglietto ritrovato a casa di Claudia dal colore della carta, seguendo il metodo induttivo, di cui è un’icona Sherlock Holmes, che nel romanzo Il mastino dei Baskerville è alle prese con una lettera anonima.
Franco Festa, alla pari del giallista francese Simenon, si discosta dagli schemi dell'inchiesta per fornire uno spaccato sociale della città e per tracciare suggestivi ritratti psicologici dei personaggi, che esternano i loro sentimenti: desiderio, amore, rabbia, dolore, odio. Nemmeno Melillo riesce a controllare le sue emozioni, a tenere a bada, come aveva saputo fare in gioventù, l’indignazione e il dolore per il male che si respirava; si sente a disagio nel suo commissariato, nella sua indagine, persino nella sua città e gli è venuto anche meno il piacere di trovare un senso, per ripristinare il fatidico ordine. Ormai prossimo alla pensione, si sente, altresì, sommerso dalla stanchezza; è tormentato da malanni fisici, che considera un corollario naturale dell’età; avverte il peso della solitudine in cui ha scelto di vivere, confortato, nei momenti particolarmente dolorosi, dalla presenza discreta di una figura amica come quella di Lucia.
La stanchezza, l’amarezza, la consapevolezza dell’inarrestabile degrado della sua città, però, non impediscono a Melillo di procedere, come sempre, alla ricerca della verità, come regola del suo lavoro, della sua vita, senza curarsi minimamente dei giudizi altrui, positivi o negativi che fossero, senza richiedere riconoscimenti, onori, stima, da cui è tuttavia circondato. Per raggiungere la verità, Melillo adotta il suo metodo investigativo basato sull’intuito, sull’intelligenza, sulla capacità di ascolto, di rispetto delle persone, di tutte, anche di quelle in apparenza banali, di quelle che si erano macchiate di atroci crimini, di quelle che non contavano nulla. Proprio per le persone che non contano nulla come Claudia, o emarginate come Graziella, il solitario Melillo prova pietas, perché sono proprio queste persone ad essere le più autentiche, sono quelle che riescono a provare e a comprendere i sentimenti veri. Ma in una società, di cui Avellino rappresenta il microcosmo, in cui ogni gesto, ogni comportamento sono regolati dall’egoismo, dalla violenza, dai pregiudizi, dalla viltà, in cui si respira il male e il male è diventato il respiro di ognuno, non c’è spazio per i sentimenti veri; i valori autentici sono relegati nella periferia, considerati antiquati e di ostacolo all’agire quotidiano. Ed ecco che Melillo, che si muove nel centro e che ha improntato tutta la sua vita sull’onestà, sulla fedeltà allo Stato, sul senso profondo di giustizia, si sente a disagio, si chiude ancora di più nella sua solitudine, ma non si arrende. Grazie al suo ingegno, che nessuno osa mettere in dubbio, grazie alla sua capacità di osservazione, che gli consente di leggere dietro le apparenze ingannevoli di cui non si fida, riesce a mettere ordine almeno nel caso di cui si sta occupando e a giungere alla verità. Anche se si tratta di una verità solo a metà, cosa che lascia amarezza e turbamento in Melillo. Sembra che nel romanzo Il respiro del male il male abbia vinto: hanno pagato i più deboli, gli innocenti: Claudia con la morte, Rino con una vita spezzata; ma ciò che resta nel respiro della città e in quello dei lettori non è il male, ma la gioia, l’innocenza, l’amore tra Rino e Claudia.
Non solo complimenti ma anche grazie a Franco Festa, che con una scrittura lineare e precisa, con un linguaggio semplice, ma efficace e piacevole, con un ritmo, ora pacato, ora incalzante che sembra seguire l’andamento delle vicende raccontate, ci induce a riflettere sulle questioni della società odierna, che sono le stesse di quelle del passato, con la speranza che si sgretoli l’idea che è andata sempre così e andrà sempre così.