Sotto questo nome si comprendono insieme il calcolo
differenziale ed il calcolo integrale. Il
calcolo
integrale
ci consente di ottenere la lunghezza di una curva , il volume di un solido ,
l’area di una superficie . Il calcolo differenziale risolve questioni quali la tangente ad una curva , gli estremi di una
funzione , la velocità istantanea di un punto materiale .
Non è
possibile fissare con precisione le origini del calcolo differenziale ; tuttavia
può affermarsi con sicurezza che il suo sorgere fu preparato dagli studi che si
svilupparono nel secolo XVII intorno ai problemi della tangente ad una curva (
Fermat , Cartesio , Torricelli , Roberval , Barrow ) , della velocità
istantanea di un punto materiale ( Torricelli , Roberval )
e dei massimi e minimi delle funzioni
( Fermat ) . Il merito di avere fondato il calcolo differenziale con
tutta la sua generalità e di averne messa in evidenza la grande importanza ,
spetta ad Isacco Newton ed a Goffredo Guglielmo Leibniz .
Newton elaborò
il metodo
delle flussioni
che è una forma di calcolo differenziale . Rigettando l’idea che le grandezze
geometriche siano costituite da parti infinitamente piccole , egli concepì tali
grandezze come prodotte da un moto continuo , precisamente le linee come
prodotte dal moto continuo di un punto , le superfici dal moto continuo di una
linea , e cosi via .
Dette fluenti le grandezze generate , chiamò flussioni le velocità con cui esse vengono formate , ed osservò che ,
considerando intervalli di tempo uguali , ma piccoli quanto si vuole , le
flussioni diventano proporzionali agli accrescimenti corrispondenti delle
fluenti . Basandosi sulla considerazione del limite del rapporto di due quantità
evanescenti , insegnò a determinare le flussioni , conosciute che siano le
fluenti;e questa parte del suo metodo corrisponde al nostro calcolo
differenziale . Leibniz , ammesso esplicitamente il principio di continuità ,
procedette , non per flussioni di linee , ma per differenze di numeri ,
introducendo le differenze infinitesime
e
di due punti vicinissimi di una curva . Ciò che oggi noi chiamiamo derivata non
è altro che il rapporto
di Leibniz , e corrisponde alla
flussione di Newton . L’elemento fondamentale del metodo di Leibniz é
l’introduzione del concetto di differenziale che è un infinitesimo .
Tuttavia che cosa fosse precisamente nel pensiero di Leibniz l’infinitesimo ,
non è facile comprendere dalla lettura delle sue opere . Sembra che egli
ammettesse l’esistenza degli infinitamente piccoli come infinitesimi attuali ,
ma qualche volta si ha la sensazione che egli considerasse questi infinitesimi
semplicemente come quantità finite indefinitamente decrescenti .
Comunque sia , l’algoritmo differenziale da lui creato trionfò
completamente su quello delle flussioni di Newton ; ed a tale trionfò contribuì
in larga parte la felice scelta dei simboli , alla quale il Leibniz attribuì
grandissima importanza . Nonostante i brillanti risultati ottenuti
nell’applicazione dei procedimenti di Leibniz ai più svariati problemi della
matematica , restava alla base della teoria una grande incertezza ed oscurità e
le menti più acute erano assillate dal desiderio di precisare i principi
fondamentali , liberandoli da ogni considerazione metafisica .
La matematica
greca urtò quasi dai suoi inizi contro il problema dell’infinito . Questo
problema si presentò quando furono scoperte le cosiddette linee
incommensurabili .
<< Non
esiste un segmentino di retta , per quanto piccolo si scelga , che sia contenuto
esattamente un numero intero di volte tanto nel lato quanto nella diagonale
di un qualunque quadrato >> .
Un solo rimedio
è possibile , di fronte alla sconcertante scoperta delle linee incommensurabili
: l ‘ annichilimento del punto, che viene ridotto ad una entità evanescente ,
cioè senza dimensioni : privo di
lunghezza , privo di larghezza , privo di altezza . Si tratta del famoso punto
geometrico , che siamo avvezzi a considerare fin dai primi anni di scuola .
Col punto senza
dimensioni e con le conseguenti concezioni della linea senza larghezza e della
superficie senza spessore la geometria si distacca dalla materia e si rivolge
agli enti geometrici idealizzati , sui quali opera con quella precisione che
costituisce il presupposto della vera matematica .
Ecco
dunque l’infinito entrare
nella matematica greca : l’infinitamente grande ( numero
di punti su
un tratto
di linea )
ed al tempo
l’infinitamente piccolo ( i singoli punti sulla linea ,che pur non avendo
dimensioni sono tuttavia entità ) .
I matematici
greci , di fronte ai problemi dell’infinito , si misero ben presto in
posizione di difesa .Di difesa soprattutto del rigore matematico ,della
precisione , dell’esattezza dei ragionamenti , che l’anomalo infinito
matematico rendeva talvolta vacillante , ponendo il matematico di fronte a
paradossi , abusi , errori .
L’infinito si
presentò soprattutto in due questioni :
1) nella
determinazione del rapporto tra due grandezze , ad esempio geometriche , quando
le grandezze stesse sono incommensurabili ( come ad esempio per il lato e la
diagonale di un qualsiasi quadrato )
2) quando si
vogliono paragonare tra loro le estensioni di due superfici o di due solidi .
La cosa è
facile per i poligoni nel piano e per i prismi nello spazio .
Ma non per
tutte le figure piane è possibile mettere in evidenza la loro equivalenza
scomponendole in un numero finito di parti finite a due a due uguali .
Per raggiungere lo scopo dovremmo suddividere le figure in infinite parti
infinitamente piccole . Sarà
il calcolo infinitesimale a percorrere questa via : ne troviamo robusta
anticipazione in Democrito ed in Archimede e poi assai più tardi , attraverso
Galileo Galilei , Bonaventura cavalieri ed Evangelista Torricelli nel secolo
XVII giungeremo fino alla fondazione di detto calcolo con Leibniz e Newton .
Ma la
matematica greca ufficiale non percorse questa via , e , per evitare l’uso
diretto dell’infinito , evidentemente pericoloso per il rigore matematico ,
escogitarono geniali , ma al tempo stesso paralizzanti teorie , che si mossero
in ambito perfettamente rigoroso .
Fu il
matematico Eudosso di Cnido il maestro dei maestri in questo campo e per questo
motivo è stato definito il più grande imbrigliatore dell’infinito .
Egli rispose
alla prima esigenza ( determinazione del rapporto tra due grandezze
incommensurabili ) mediante la teoria delle proporzioni , che ritroviamo poi
esposta nel libro V degli Elementi di Euclide ; rispose alla seconda esigenza
con quel metodo che nel seicento chiamarono metodo di esaustione e che troviamo
applicato nel libro XII degli stessi elementi di Euclide .
Sia con la
teoria delle proporzioni , sia col metodo di esaustione , Eudosso evitò l’uso
diretto dell’infinito , ma non potette certo evitarne l’uso indiretto : ad
ogni modo , attraverso i rigidi schemi da lui escogitati fornì una trattazione
perfettamente rigorosa .
In questo modo
la matematica greca vinse la sua battaglia contro l'infinito : evitandolo fin
dove possibile .
La scoperta
delle linee incommensurabili e la concezione degli enti geometrici idealizzati
presentarono gravi questioni ai matematici .
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Sia dato il
segmento AB . Dal punto C tracciamo le rette
CA e CB congiungenti C con gli estremi del segmento AB . Prendiamo il
punto medio D di AC e per esso tracciamo la parallela DE ad AB , fino a tagliare
nel punto E la retta CB . Otteniamo il segmento DE che è la metà del segmento
AB .
Ci domandiamo
ora : quanti punti contiene il segmento AB ? Secondo la concezione degli enti
geometrici idealizzati dobbiamo rispondere : AB contiene infiniti punti in
quanto sappiamo che tra due punti qualsiasi possiamo inserire almeno un altro
punto . E se ci domandiamo quanti punti contiene il segmento DE dobbiamo
rispondere che ne contiene infiniti .
Siccome AB è
doppio di DE verrebbe di pensare che gli infiniti punti di AB debbano essere il
doppio degli infiniti punti di DE . Il senso comune ci indurrebbe
a stabilire un confronto tra i due infiniti con netto vantaggio
dell’infinità dei punti di AB .
Ma ora possiamo
mettere in evidenza un fatto piuttosto sconcertante : i punti del segmento AB
sono tanti quanti sono i punti del segmento DE .
Per dimostrarlo
, consideriamo un generico punto F di AB e congiungiamolo con C : la retta FC
taglia il segmento DE in un punto H . Possiamo dire che al punto F di AB
corrisponde il punto H di DE . E poiché posiamo ripetere la costruzione per
tutti i punti del segmento AB diremo che possiamo stabilire un corrispondenza
tra tutti i punti di AB ed i punti di DE : più precisamente ad ogni punto di AB
corrisponderà un solo punto di DE .
Si osserva pure
che ad ogni punto di DE corrisponde un solo punto di AB . Abbiamo stabilito una
corrispondenza biunivoca tra i punti del segmento AB ed i punti del segmento DE
.
Quindi i punti
del segmento AB sono tanti quanti sono i punti del segmento DE .
Ecco uno dei
paradossi dell’infinito .
Lo rendiamo
ancora più evidente se , anziché
il segmento DE consideriamo il segmento ad esso uguale AM ( ottenuto abbassando
da E la perpendicolare EM su AB ) . I punti di AB essendo in numero uguale a
quelli di DE , dovrebbero essere in numero uguale a quelli di AM !
Infatti i punti di AB possono porsi in corrispondenza biunivoca con
quelli di AM , mentre essi costituiscono solo una parte ( la metà ) dei punti
di AB . Cioè per gli insiemi infiniti non sembra valido il principio ben noto :
il tutto è maggiore di una sua parte , dal momento che è possibile che un
insieme infinito venga posto in corrispondenza biunivoca con una sua parte .
Anche in
aritmetica nasce un paradosso sull’infinito . I quadrati dei numeri naturali
sono un sottoinsieme dei numeri naturali eppure essi sono tanti quanti sono in
numeri naturali in quanto i due insiemi possono porsi in corrispondenza
biunivoca . Questo esempio fu discusso da Galileo Galilei il quale concluse che
gli infiniti non possono confrontarsi fra loro : << gli attributi di
uguale , maggiore e minore non avere luogo ne gli infiniti , ma solo nelle
quantità terminate >> .
Tuttavia
Galileo , se esita davanti al confronto tra infiniti ,
confronta tra loro gli infinitesimi .
Ma ,
soprattutto , è notevole il fatto che attraverso il suo paradosso aritmetico
dei numeri naturali e dei loro quadrati Galileo metta l’accento su una
proprietà caratteristica degli insiemi infiniti : quella di potersi porre in
corrispondenza biunivoca con una loro parte .
In altri
termini , Galileo riconosce che per gli insiemi infiniti non vale il principio
che il tutto è maggiore di una sua parte : un insieme infinito è certamente
maggiore di una sua parte , ma al tempo stesso è ad essa uguale .
Chi risolve in
maniera completa e definitiva il concetto di infinito è Cantor . Questi
introduce il concetto primitivo di insieme
descrivendolo con le seguenti parole : << Per insieme intendiamo
una collezione di determinati oggetti della nostra intuizione o del nostro
pensiero ben distinti e riuniti in un tutto : tali oggetti sono detti gli
elementi dell’insieme >>
Definizione :
<< quando due insiemi possono porsi in corrispondenza biunivoca si dice
che essi hanno la stessa potenza >> .
Poiché insiemi
finiti aventi lo steso numero di elementi hanno la stessa potenza e che
inversamente insiemi finiti aventi la stessa potenza hanno lo stesso numero di
elementi , conviene di fare rappresentare la potenza di un insieme finto dal
numero dei suoi elementi , cioè assumiamo :
potenza di un
insieme finito = numero dei suoi elementi
Introduciamo ,
per indicare la potenza , l’uso di racchiudere tra due sbarrette verticali la
notazione dell’insieme . Scriveremo così :
;
;
Cantor
identifica anche per gli insiemi infiniti il numero degli elementi con la
potenza : cioè hanno lo stesso
numero di elementi due insiemi infiniti aventi la stessa potenza , cioè due
insiemi i cui elementi possono porsi in corrispondenza biunivoca
fra loro .
Consideriamo
l’insieme N , cioè l’insieme di
tutti gli infiniti numeri naturali :
Chiameremo
potenza del numerabile la potenza dell’insieme N . Ciò in relazione al fatto
che chiameremo insieme numerabile l ‘insieme N stesso e qualsiasi altro
insieme che possa porsi con N in corrispondenza biunivoca . L’importanza della
considerazione della potenza del
numerabile sta nel fatto che essa è la più piccola potenza che un insieme infinito può avere .
Esistono
insiemi infiniti che hanno potenza maggiore del numerabile , ma non esistono
insiemi infiniti aventi potenza minore .
Definizione :
Un insieme finito A ha potenza maggiore di un insieme finito B quando è
possibile porre B in corrispondenza biunivoca con una parte propria di A , ma
non è possibile porre A in corrispondenza biunivoca con una parte propria di B
.
Confronto fra insiemi infiniti
Consideriamo
due insiemi infiniti X ed Y e confrontiamoli . Si possono presentare tre casi :
1) L’insieme
infinito X può essere messo in corrispondenza biunivoca con l’insieme
infinito Y . Diciamo per definizione che i due insiemi infiniti X ed Y hanno la
stessa potenza e scriviamo :
2) L’insieme
infinito Y può porsi in corrispondenza biunivoca con una parte propria
di X , ma non è possibile porre X
in corrispondenza biunivoca con una parte propria
di Y . Per definizione diciamo che
l’insieme infinito X ha potenza maggiore dell’insieme infinito Y ( il quale
, a sua volta , ha potenza minore di X ) . Scriviamo :
2) X può porsi
in corrispondenza biunivoca con una parte propria
di Y , Y
può porsi in corrispondenza biunivoca con una parte propria
di X . Anche in questo caso , per
definizione diciamo che i due insiemi infiniti X ed Y hanno la stessa potenza e
scriviamo :
Per gli insiemi
finiti non è possibile porre in corrispondenza biunivoca l’insieme con una
sua parte propria , perché insieme e parte propria hanno un diverso numero di
elementi .
Per gli insiemi
infiniti , invece , è sempre possibile porre l’insieme in corrispondenza
biunivoca con una sua parte , cioè un insieme infinito ha sempre qualche parte
propria avente la stessa potenza dell’insieme totale .
Teorema
Qualunque
sottoinsieme infinito di un insieme numerabile è numerabile .
Teorema
Non esiste
alcun insieme infinito avente potenza inferiore al numerabile : quella del
numerabile è la minima potenza degli insiemi infiniti .
Tra gli insiemi
numerabili abbiamo trovato l’insieme dei numeri relativi
e quello dei numeri razionali .
Poiché la
potenza del numerabile è la minima potenza che un insieme infinito può avere ,
allora ogni altro insieme infinito che non ha la potenza del numerabile ha una
potenza maggiore del numerabile .
Quali sono gli
insiemi infiniti che hanno la potenza maggiore del numerabile ?
Sono , ad
esempio , l’insieme di tutti i numeri reali , l’insieme di tutti i punti
della retta : questi due insiemi hanno la stessa potenza in quanto i numeri
reali ed i punti della retta si possono porre in corrispondenza biunivoca .
Definizione
Chiamiamo
potenza del continuo quella dell’insieme di tutti i punti della retta e quindi
anche dell’insieme R di tutti i numeri reali .
Ci si
presentano due potenze per insiemi infiniti :
1) la potenza
del numerabile , che è la minima possibile ( ad esempio la potenza
dell’insieme N )
2) la potenza
del continuo , che è maggiore di quella del numerabile ( ad esempio la potenza
dell’insieme R ) .
Postulato del continuo
Non esistono
insiemi infiniti aventi potenza intermedia tra quella del numerabile e quella
del continuo .
Teorema
L’insieme
delle parti
di un
insieme numerabile
ha la
potenza del continuo ( che è
maggiore di
quella del
numerabile )
Teorema
L’insieme P
delle parti di un insieme qualunque A ha potenza maggiore di A
Teorema
Esistono
insiemi infiniti aventi potenza superiore alla potenza del continuo .
Quando
consideriamo insiemi infiniti , si ha sempre un aumento della potenza nel
passare da un insieme infinito all’insieme delle sue parti .
Quindi ,
partendo da un insieme numerabile N ( avente potenza del numerabile ) si passa
all’insieme delle sue parti P che ha la potenza del continuo , e l’insieme
delle parti di P ha potenza
maggiore del continuo , l’insieme
delle parti di
ha potenza maggiore di
, e cosi di seguito .
Le successive
potenze degli insiemi N , P ,
,
…. si presentano come le
successive gigantesche , infinitamente grandi unità di una nuova serie numerica
infinita . Sono nati i numeri trasfiniti di Cantor ha elaborato in maniera
impeccabile una sua aritmetica .
Il problema dell’infinito , come il problema degli
irrazionali ad esso strettamente collegato , si sviluppò su suolo greco ed è
li che esso incorse nella sua prima crisi , seguita poi da molte altre . Zenone
avanzò argomentazioni volte a dimostrare la contraddittorietà insita nei
concetti di molteplicità e divisibilità .
I celebri argomenti di Zenone a difesa della
filosofia di Parmenide mirano a provarci che , se la negazione del movimento e
della molteplicità può a prima vista apparire assurda , l'ammissione di essi
conduce ad assurdità ancora più gravi , nascoste ma non risolte dal linguaggio
ordinario . Il perno di tali argomenti consiste nella dimostrazione
che , sia nella nozione di movimento , sia in quella di pluralità , si
annida il delicato concetto di infinito . [1]
I quattro argomenti di Zenone , così come li riporta
Aristotele nella sua Fisica , sono :
I argomento : la dicotomia
Non esiste il movimento
perché ciò che si muove deve arrivare alla metà del suo cammino prima di
arrivare alla fine . E naturalmente deve arrivare alla metà della metà prima
di arrivare alla metà e così ad
infinitum .
II argomento : Achille e la tartaruga
Il secondo argomento consiste nel fatto che il più
lento non sarà mai sorpassato nella sua corsa dal più veloce , perché
l’inseguitore deve sempre prima arrivare al punto dal quale l’inseguito si
è appena mosso , cosicché il più lento deve sempre trovarsi in poco più
avanti dell’altro .
III argomento : la freccia .
La freccia che si muove è ferma
.
Una freccia lanciata è in ogni momento nello stato
di riposo o nello stato di non-riposo , cioè in movimento ; se l’istante è indivisibile , la freccia non si piò
muovere , altrimenti l’istante potrebbe immediatamente dividersi . Ora il
tempo è fatto di istanti ; siccome la freccia non può muoversi in nessun
istante , non può muoversi mai . Essa resta sempre in riposo .
IV argomento : lo stadio
Zenone paragona il movimento di alcuni punti rispetto
a certi punti fermi col movimento che essi stessi manifestano rispetto ad altri
punti che si muovono in direzione contraria , ne deduce che un certo tempo è il
doppio di se stesso .
Nei primi due sofismi Zenone esprime una obiezione
alla infinita divisibilità di
porzioni finite di tempo e di spazio . negli ultimi due ci dimostra le serie
difficoltà che sorgono se facciamo l’ipotesi opposta , vale a dire che lo spazio
ed il tempo non sono infinitamente divisibili ma sono composti di punti e di
istanti che si possono calcolare in un numero finito di fasi successive
Il successivo indirizzo della scienza greca mostra
chiaramente quanta influenza abbia avuto la crisi scatenata dagli argomenti di
Zenone sul pensiero matematico dei greci .
Istillando nella mente dei geometri greci l, ‘ horror
infiniti , gli argomenti di Zenone ebbero l’effetto di paralizzare
parzialmente la loro immaginazione creativa . L’infinito era tabù , doveva
essere tenuto fuori , ad ogni costo oppure , se questo non era possibile , lo si
camuffava con ragionamenti ad absurdum
.
Al di là del significato preciso che i paradossi
rivestono nell’ambito dell ‘ Eleatismo , essi , attraverso i secoli , hanno
avuto la meritoria funzione di richiamare l’attenzione del pensiero
filosofico-scientifico su tutta una serie di questioni : come ad esempio il
problema dell’infinito , della divisibilità , del moto , del rapporto tra
fisica e matematica .
E quelli che potrebbero sembrare degli << inutili
rompicapo >>
si configurano ancora oggi come ardui problemi di
logica e filosofia della scienza .
Come scrive Bernard Russell : << In
questo mondo capriccioso , nulla è più capriccioso che la fama presso i
posteri . Una delle più notevoli vittime della mancanza di secco della posterità
è Zenone di Elea . Malgrado che abbia inventato quattro argomentazioni
, tutte smisuratamente sottili e profonde , la stupidità dei filosofi
venuti dopo di lui proclamò che Zenone era null’altro che un ingegnoso
giocoliere e le sue argomentazioni erano tutte sofismi >> .
L’introduzione
dell’infinito , nei ragionamenti matematici , presenta delle difficoltà gravi
, sulle quali gli argomenti di Zenone avevano contribuito a richiamare
l’attenzione di matematici e filosofi. Da qui la necessità per i geometri
greci , di possedere un metodo di ragionamento da potere utilizzare nelle
questioni relative alle aree ed ai volumi e che evitasse o per lo meno
mascherasse l’uso dell’infinito . Il merito di avere creato questo schema di
ragionamento è universalmente riconosciuto ad Eudosso di Cnido ( IV secolo A.C. ) , con il quale i risultati delle prime ricerche
infinitesimali furono definitivamente acquisite alla scienza .
Il metodo di
esaustione è , sostanzialmente ,
il metodo delle classi contigue ancora oggi usato da molti testi per il calcolo
di lunghezze , aree , volumi . Il punto centrale di esso consiste nel dimostrare
che due lunghezze o aree o volumi
“ debbono “ essere uguali perché è assurdo che la loro differenza sia
diversa da zero . La prova di questa assurdità si ottiene , non da un confronto
diretto delle due figure che non è possibile , salvo ad immaginarle suddivise
in una infinità attuale di parti ( con tutti i rischi dell’infinito attuale )
, ma dal confronto tra classi di altre figure ( di lunghezza , di area o di
volumi calcolabili ) che racchiudono le due date con differenze via via minori :
concezione questa che implica soltanto l’infinito potenziale , cioè
l’illimitata proseguibilità delle classi di figure considerate .
Qui l’intento
di Eudosso era manifestamente quello di evitare le antinomie connesse alla
suddivisione di una figura in una infinità ( attuale ) di grandezze
infinitamente piccole , antinomie che avevano provocato tante preoccupazioni a
tutta la matematica pitagorica . Il metodo di cui si serve è contorto ,
artificioso , di scarsissima intuitibilità , ma logicamente impeccabile . Sarà
il metodo seguito , in questo genere di ricerche , da tutti i più grandi
geometri fino alla scoperta del calcolo infinitesimale moderno .
Il
genio di Archimede non poteva accontentarsi completamente di un metodo
che , pur essendo impeccabile come procedimento di dimostrazione , non apriva la
via alla scoperta di nuove verità e , superando ogni esitazione , affrontò
l’infinito , per servirsene nelle sue ricerche .
E così si
costruì un procedimento di natura infinitesimale che risultò fondato su concetti che , molti secoli dopo ,
nel Rinascimento , dovevano ripresentarsi alle menti dei precursori del calcolo infinitesimale . Questo metodo
della cui esistenza , fino ad un secolo fa , non si avevano prove sicure ,
traspariva da alcune dimostrazioni di Archimede , che erano rimaste di dominio
della scienza . d’altra parte , certi risultati del siracusano , che
apparivano delle vere divinazioni ( ad esempio i teoremi sul volume e sulla
superficie della sfera ) ,
inducevano a ritenere che egli si fosse servito realmente di mezzi di ricerca di
gran lunga superiori a quelli che , dopo di lui , erano rimasti in possesso dei
geometri . A confermare pienamente queste induzioni venne , nel 1906 , la
scoperta fatta dal filologo [3]
danese Heiberg in un palinsesto
della biblioteca Metochion di Costantinopoli , di uno scritto di Archimede
indirizzato al matematico alessandrino Eratostene , e intitolato Metodo sui teoremi meccanici , in cui è esposto un metodo che , secondo lo stesso autore, serve a
scoprire certe verità col mezzo della meccanica .
Metodo
di scoperta e non di dimostrazione , giacché il grande geometra non
avendo raggiunto una sistemazione critica della sua analisi infinitesimale ,
sentiva la necessità di chiedere al ragionamento per esaustione la sicura
conferma dei risultati che , sulle aree , sui volumi , sui centri di gravità
egli andava conquistando .
Come risulta
dal Metodo , Archimede riguardava ogni superficie come composta da tanti segmenti
di retta , paralleli ad una data direzione che la riempiono tutta
, e ognuno di tali segmenti era per lui l’elemento infinitesimale
costitutivo della figura . Analogamente , un solido era considerato composto da
tante superfici piane , fra loro parallele , riempenti tutto il volume e
costituenti gli elementi infinitesimali del solido .
Le superfici ed
i volumi erano così pensati come somme di tanti elementi infinitamente piccoli
; e le linee e le superfici , di cui Archimede riempiva le superfici ed i volumi
, dovevano poi corrispondere a quegli indivisibili sui quali il Cavalieri nel
secolo XVII , costruì la sua geometria .
Esponiamo in
maniera elementare il metodo che usa Archimede per calcolare l’area di una
figura piana a contorno curvilineo , ad esempio l’area della superficie di un
segmento parabolico .
Archimede pensa
la figura come costituita da una serie di fili pesanti , paralleli tra loro .
immagina poi nel piano una leva
, il cui fulcro sia un punto
conveniente O di
, e fa cedere che se quei fili
venissero trasportati parallelamente ed applicati in P , essi col loro peso
farebbero equilibrio ad un’altra figura
, di area nota , avente il
baricentro in Q . Dalla legge di equilibrio della leva che egli , nella sua
prima opera , aveva scoperto e dimostrato , Archimede ricava il peso applicato
in P , e quindi l’area S .
La parte
euristica del procedimento , per le nostre abitudini mentali di oggi , sta
nell’avere sostituito la serie dei rettangoli approssimanti S , di cui
Archimede avrebbe fatto uso in una dimostrazione rigorosa , mediante una serie
di fili paralleli che costituiscono , per così dire , dei rettangoli
infinitesimi .
Nei Teoremi
di meccanica dedicati ad Eratostene
Archimede scrive quanto segue :
Spesso io scopersi con
l’aiuto della meccanica proposizioni che ho poi dimostrato col mezzo della
geometria , perché il metodo in questione non costituisce una vera
dimostrazione . Giacché riesce più facile dopo che con tale metodo si
sia acquisita una qualche conoscenza di ciò che esso comporta .
Per avvalorare
quanto ha fatto , Archimede cita come esempio le dimostrazioni di Eudosso
relative al cono ed alla piramide , che erano state facilitale dalle preliminari
affermazioni , senza dimostrazioni , fatte da Democrito .
Così
servendosi del suo metodo meccanico
, Archimede supera le semplici considerazioni infinitesimali su cui si basa il
metodo di esaustione ed arriva a
vere e proprie integrazioni . Benché Archimede non lo dica esplicitamente , le
rette ed i piani di cui fa uso sono considerati come aventi una certa larghezza
o un certo spessore che , si può
dire , diventa il
del calcolo moderno quando queste
rette e questi piani considerati nel loro insieme ( in un certo senso nella loro
infinità numerica ) arrivano ad una estrema approssimazione con segmenti e
superfici piane intesi in senso euclideo .
Il Metodo ,
l’opera che più di duemila anni fa conteneva risultati così meravigliosi ,
venne recuperata quasi per caso nel
.
L’infaticabile
filologo danese Heiberg aveva sentito dire che a Costantinopoli si conservava un
palinsesto di contenuto matematico . Un esame accurato gli mostrò che il
manoscritto originale doveva contenere qualche testo di Archimede : per mezzo di
fotografie egli fu in grado di leggere gran parte del testo archimedeo . Il
manoscritto era formato da
fogli , la maggior parte di
pergamena , ma alcuni di carta , con il testo archimedeo copiato da una mano del
X secolo . Era stato fatto un tentativo , fortunatamente non molto riuscito , di
cancellare questo testo allo scopo di usare la pergamena per un Eucologion ( una
raccolta di preghiere e liturgie usate nella Chiesa ortodossa orientale )
scritto verso il XIII secolo . Il testo matematico conteneva tutto il trattato Sulla sfera e sul cilindro , gran parte dell’opera Sulle spirali , una parte della Misurazione del cerchio e dell ‘ Equilibrio dei piani , e il trattato Sui galleggianti , che si trovano tutti conservati anche in altri manoscritti .
Ma , cosa più
importante , il palinsesto ci fornisce l’unica
copia esistente de Il metodo .In un certo senso il palinsesto rappresenta un simbolo del contributo
del Medioevo : l’intenso interesse per questioni religiose aveva quasi
spazzato via una delle opere più importanti
del più grande matematico dell’antichità ; tuttavia , in ultima
istanza , fu l’erudizione medioevale che inconsapevolmente conservò questa ,
e molte altre opere , che altrimenti si sarebbero perdute .
Lo storico
Castelnuovo scrive : << Non c’è un fondatore del calcolo infinitesimale
. La costruzione del Calcolo ha luogo durante un lungo processo , che si estende
per oltre un secolo dai primi traduttori e commendatori di Archimede fino a
Newton e Leibniz . Ogni passo , entro questo periodo , si compie quando i tempi
sono maturi per farne sentire l'interesse e per imporne la necessità >> .
Non c’è
stata scoperta che abbia prodotto nelle scienze matematiche una rivoluzione così
felice ed immediata quanto quella dell’analisi infinitesimale ; nessun’altra
ha saputo fornire mezzi più semplici e più eleganti per penetrare nella
conoscenza delle leggi della natura .
Ben pochi
tratti del mondo in cui oggi viviamo sarebbero concepibili se non ci fossero
stati gli sforzi dei vari Galileo Galilei , Cavalieri , Torricelli , Newton ,
Leibniz , Eulero , Cauchy che riuscirono nella sfida titanica di fissare
l’attimo fuggente . Che cosa è un indivisibile ? E’ un atono di grandezza .
Per esempio : un punto è un indivisibile , poiché non c’è grandezza alcuna
in cui lo si possa dividere ; analogamente , una linea è un indivisibile di
superficie , potremmo dire un atomo di superficie o addirittura un infinitesimo
di superficie ; infine , una superficie è un indivisibile di volume .
Queste entità
bizzarre hanno suscitato per generazioni le dispute dei matematici e dei
filosofi . Spesso con interessanti paradossi : un punto può toccare un altro
punto ? Quanti punti sono necessari per formare un segmento ? Paradossi del
genere non avevano impedito ai matematici di impiegare gli indivisibili .
Archimede , forse anche Democrito , aveva ammesso che una superficie si compone
di linee : ma era ancora un punto di vista provvisorio , puramente euristico .
Una volta trovato un risultato per questa via , si doveva ancora dimostrarlo
rigorosamente per un’altra via che di indivisibili non facesse uso .
La condanna più
forte ed esplicita era venuta da Aristotele secondo il quale è impossibile che
la linea si componga di punti , che il tempo sia composto di istanti , il moto
sia composto di salti infinitesimi .
Se
l’avvenimento più importante è rappresentato dalla creazione del calcolo
infinitesimale da parte di Newton e di Leibniz , è anche vero che prima di esso
si era sviluppata una pratica matematica assai ricca e sofisticata : problema
della tangente , calcolo di aree e volumi , velocità istantanea di un punto
materiale , rettificazione di una curva .
Ma ogni autore
aveva il proprio procedimento ed era spesso difficile scorgere cosa mai
collegasse questi differenti artifici .
In Italia , tre
personaggi hanno svolto un ruolo di primo piano nella creazione di questa
geometria nuova : Galileo , Cavalieri e Torricelli .
Il primo ,
Galileo , è il Maestro cui ci si rivolge per consigli ed appoggi .
Il secondo
personaggio , Bonaventura Cavalieri , è di un’altra generazione : ha
anni nel
, quando Galileo si spegne all’età
di
anni .
Il vero
divulgatore del metodo degli indivisibili è il nostro terzo eroe Evangelista
Torricelli . Fu lui a diffondere ed a mettere in pratica i nuovi procedimenti di
Cavalieri . Nelle sue mani la geometria degli indivisibili doveva trasformarsi
in uno strumento potentissimo .
La strategia di
Cavalieri consiste nello schivare la questione filosofica e lasciare
indeterminato il legame tra indivisibili e grandezze .
Bonaventura
Cavalieri nacque a Milano nel
e morì a Bologna nel
. Entrato nell’ordine dei Gesuati
, fu mandato a Pisa dove studiò matematica con Benedetto Castelli
, allievo di Galileo ; egli stesso si proclama discepolo del sommo Pisano
.
Nel
fu chiamato alla cattedra di
matematica dell’Università di Bologna , che occupò fino alla morte .
La sua opera
fondamentale è la << Geometria indivisibilubus
continuorum nova quadam ratione
promota >> ( Geometria promossa con gli indivisibili dei
continui mediante un metodo nuovo
) .
Nei
decenni successivi
il nome
di Bonaventura
Cavalieri sarà
sinonimo di << metodo degli indivisibili >> ; sfortunatamente
la sua geometria è un’opera pesante e sarà poco letta .
L’idea
direttrice del Cavalieri è la seguente :
<< una
figura piana è costituita dalle infinite corde che un fascio di rette parallele
intercetta entro la figura stessa , mentre una figura solida è costituita dalle
infinite superfici piane intercettate da un fascio di piani paralleli >> .
Uno dei punti
fondamentali ed anche più oscuri del complesso pensiero di Cavalieri che resta
ancora da chiarirsi bene è la vera natura degli indivisibili . I pareri degli
storici non sono concordi . Castelnuovo sostiene che Cavalieri non considera gli
indivisibili come infinitesimi attuali e sostiene che Cavalieri si avvale di una
infinità discreta di indivisibili di
una figura per paragonarli con un’analoga infinità di una seconda figura .
Il Bortolotti
afferma che il Cavalieri considera gli indivisibili come privi di spessore a
condizione di supporli animati da una “ flussione “ , cioè da un movimento
. Questa veduta porta alla considerazione degli indivisibili come elementi
geometrici aventi estensione non assolutamente nulla , ma infinitesima .
Per quanto
riguarda la vera natura degli indivisibili , possiamo dire che Cavalieri non ha
detto espressamente e chiaramente
se li intendeva come infinitesimi attuali o piuttosto come degli infinitesimi
potenziali .
Con tutta
probabilità gli indivisibili di Cavalieri nascono come infinitesimi attuali e
maturano come infinitesimi potenziali .
Ai tempi di
Cavalieri l’infinito attuale , in ossequio all’autorità di Aristotele , era
considerato impensabile . Tutte le linee e tutte le superfici di Cavalieri erano
insiemi di infiniti elementi infinitamente piccoli in atto . Infiniti ed
indivisibili .
L’obiezione
più ovvia che da Zenone in poi è stata rivolta contro la composizione del
continuo per mezzo di elementi indivisibili è che mai può avere grandezza una
somma di elementi di grandezza nulla : una linea come somma di punti , una
superficie come somma di linee , un solido come somma di superfici .
La stessa
obiezione che solleva Guldino quando dice che << la moltitudine delle
linee , per quanto grandissima essa sia , non può comporre
neppure una piccola superficie >>> .
D’altro canto
, è impossibile ammettere che gli indivisibili abbiano grandezza . Perché , in
questo caso , non si spiegherebbe come la somma di infiniti di loro potrebbe
essere uguale ad una figura finita
.
L’unica
alternativa possibile sembra che una figura possa essere suddivisa in un numero
comunque grande di parti di grandezza sempre più piccola , minore di qualunque
grandezza piccola a piacere .
<< Il
continuo , dice Guldino , è divisibile all’infinito , ma non costa di
infinite parti in atto , bensì soltanto in potenza , le quali parti non possono
mai essere esaurite . >> Questa
è la posizione ufficiale nel
.
Quello del
confronto tra gli insiemi infiniti di tutte le linee e di tutte le superfici è
il primo serio nodo da sciogliere che si presenta a Cavalieri nella ricerca di
un’impostazione razionale al nuovo metodo .
Spronato da
taluni oppositori a chiarire la metafisica della sua teoria , il Cavalieri
espone due diversi punti di vista , che dovevano diventare classici . Il primo
di questi riconosce il suo
fondamento nel concetto di continuità che si manifesta sotto forma di movimento
. Da questo punto di vista gli indivisibili si possono considerare come privi di
spessore a condizione di supporli
animati da una flussione , cioè da
un movimento : gli enti geometrici sono fluenti nei loro indivisibili e la
misura dell’estensione si desume dal confronto globale degli indivisibili . Le
parole fluente , flussione , e queste idee del Cavalieri ebbero più tardi
fortuna nella scuola del Newton , che considerò il calcolo infinitesimale come
calcolo delle flussioni . Il secondo punto di vista appare guidato dai concetti
, che allora si affacciavano alla scienza , di infinitesimo e di limite . In
esso il confronto fra gli indivisibili delle figure geometriche viene fatto
singolarmente , cioè il rapporto di due figure geometriche viene desunta dal
rapporto fra un indivisibile ( generico ) dell’una ed il corrispondente
indivisibile dell’altra . Questa veduta porta alla considerazione degli
indivisibili come elementi geometrici aventi estensione non assolutamente nulla
, ma infinitesima , ed alla valutazione di rapporti fra i vari gradi di
infinitesimo e fra infinitesimi dello stesso grado .
Ad esempio ,
per determinare l’area di un’ellisse , si costruisca il cerchio tangente ad
essa negli estremi dell’asse maggiore e si osservi che questo cerchio e
l’ellisse intercettano sopra la perpendicolare a tale asse segmenti che stanno
fra di loro in un rapporto fisso , cioè nel rapporto
dei due assi dell’ellisse .
Quindi , se
conosciamo l’area del cerchio possiamo calcolare l’area dell’ellisse .
<< Se due
figure piane intercettano sulle rette parallele ad una direzione fissa ( regola
) segmenti che stanno tra loro in un rapporto costante , questo rapporto è
anche quello delle aree racchiuse dalle due figure . I segmenti anzidetti
vengono considerati come elementi indivisibili generatori della figura .
Se la Geometria
di Cavalieri è libro difficile e troppo vincolato al rispetto , almeno formale
, di Euclide , Cavalieri ha però trovato un portavoce di genio nella persona di
Torricelli , che ha presentato il metodo degli indivisibili in una forma diretta
e facile , rendendolo attraente grazie a risultati nuovi e sorprendenti . Questa
presentazione divulgativa si trova in Opera Geometrica (
) , in due testi assai originali .
Nel primo ( De dimensione parabolae ) si danno
dimostrazioni differenti della
stessa proposizione , la quadratura della parabola ; le prime
sono “ alla maniera degli Antichi
“ la dimostrazione procede indirettamente per doppia riduzione all’assurdo ,
secondo il metodo che nel Seicento è detto di “ esaustione “ ; le ultime
utilizzano gli indivisibili . Il lettore non può che restare impressionato dal
contrasto e convincersi che il metodo degli indivisibili appare più diretto e
naturale .
nel secondo ( De
solido hyperbolico acuto
) Torricelli mostra che il volume di un certo solido iperbolico di altezza
infinita è uguale a quello di un cilindro finito . E’ una doppia novità :
determinazione del volume di un “ solido
infinito “ ed
impiego degli indivisibili curvi .
Torricelli
presenta il suo lavoro come un’illustrazione della nuova geometria di
Cavalieri . Per Torricelli gli indivisibili costituiscono la grandezza continua
.
In ogni
dimostrazione torricelliana ricorre la frase omnes lineae sive
figura ipsa , cioè << tutte le linee ovvero la figura stessa >> .
D’altra parte
, la sua opera non contiene alcuna proposizione fondamentale sulle condizioni
rigorose con cui gli indivisibili dovrebbero venire “ ritagliati “ in un dato continuo , né sul confronto tra aggregati infiniti , né
sul passaggio dagli aggregati infiniti alle figure piane o solide finite .
Torricelli è
ben più di un divulgatore . Egli riflette con molta penetrazione sui fondamenti
del metodo, scopre tutta una serie di paraddossi che alimentano la sua ricerca e
costruisce una teoria degli indivisibili differente da quella di Cavalieri , più
ardita e feconda .
Il paradosso
fondamentale sul quale riflette Torricelli è il seguente . le due parti del
rettangolo
, ottenute tracciando le diagonale
, hanno la stessa area . Tuttavia ,
se consideriamo tutte le linee
e tutte li linee
dovremmo pervenire al risultato
assurdo che il triangolo
sta al triangolo
come tutte le linee dell’uno stanno a tutte le linee dell’altro , cioè come
a
ovvero come
sta a
.
|
Torricelli e
il paradosso degli indivisibili |
Cavalieri aveva
evitato assurdi del genere imponendo una direzione fissa per la determinazione
degli indivisibili . Ma Torricelli , più che imporre restrizioni all’impiego
degli indivisibili , tenta di penetrarne il mistero . Egli collezione dei
paradossi , facendo una sorta di lista di varianti del paradosso fondamentale .
Altri casi sono
più sofisticati e ricchi di sorprese . Torricelli quasi si compiace di
accumulare le assurdità cui porta una scelta perversa della “ regola “ per determinare gli indivisibili .
Per Torricelli i
residui ultimi delle figure finite sono dei veri e propri infinitesimi .
Siamo così di
fronte a veri e propri enti infinitamente piccoli , che hanno la stessa
dimensione che hanno le figure o i solidi in cui si trovano : il segmento di
retta è un rettangolo infinitamente sottile , il disco è un cilindro di
altezza infinitamente piccola . L’indivisibile non è più il risultato di una
sezione , ma è ottenuto come vestigium , residuo ultimo della figura .
Questo è il
punto decisivo : per Torricelli ci sono delle differenze , delle relazioni di
maggiore e minore , nel dominio dell’infinitamente piccolo .
Il testo in cui
egli espone più chiaramente la sua concezione ( dedicato alle “ tangenti
alle parabole infinite )
si apre con l’affermazione che gli indivisibili non sono uguali tra loro :
un punto può
essere maggiore di un altro punto , una linea più grande di un’altra , una
superficie più spessa o più alta di un’altra .
Come
è possibile determinare dei rapporti nel dominio dell’infinitamente
piccolo ? per gli infinitamente piccoli , cioè tra i segmenti di retta che sono
i residui dei parallelogrammi o dei rettangoli , la proporzione deve essere la
stessa che esisteva tra i parallelogrammi o i rettangoli finiti . Il principio
è che la "“proporzione "“tra le figure è conservata quando si perviene ai residui
ultimi di queste figure .
Torricelli
estese il metodo degli indivisibili di Cavalieri introducendo ( alla fine del
) gli indivisibili
curvi , cioè intersecando le figure non solo con
rette e piani , ma anche con circonferenze , sfere , cilindri e coni e
considerando come indivisibili non solo segmenti e superfici piane , ma anche
archi di circonferenza , superfici sferiche , cilindriche e coniche .
Per confrontare
due figure ( ad esempio piane ) con il metodo di Torricelli si procede come
segue : si interseca la prima figura con un sistema di curve e la seconda con un
sistema di rette parallele ; se ogni indivisibile curvo della prima figura
uguaglia il corrispondente indivisibile della seconda figura allora le due
figure hanno la stessa area , mentre se tra due indivisibili corrispondenti
sussiste un rapporto costante , tale rapporto sussiste anche tra le aree delle
due figure .
Nel caso di
figure solide si procede analogamente , intersecando la prima figura con un
sistema di superfici e la seconda con un fascio di piani paralleli .
Abbiamo visto
che la nascita del calcolo infinitesimale moderno risale all’inizio del
Seicento . Mentre i matematici del secolo precedente avevano soprattutto mirato
a recuperare i testi dei grandi geometri greci , per riuscire ad assimilare il
prezioso insegnamento , ora ci si pone apertamente il compito di andare al di là
di essi . sarà questa una delle molle principali che spingerà alla creazione
del nuovo calcolo . E’ risaputo che uno dei più importanti e difficili
problemi affrontati dai matematici greci era stato quello di calcolare lunghezze
di linee , aree di superfici , volumi di solidi , non trattabili con i metodi
elementari . Se ne erano occupati Eudosso ed Euclide , ma spettava soprattutto
ad Archimede il merito di avervi recato contributi eccezionalmente significativi
. Era riuscito a farlo sulla base del cosiddetto “ metodo
di esaustione
“ , l’unico cui fa esplicitamente ricorso nelle opere recuperate dai
matematici del secolo XVI .
Gli innovatori
del secolo XVII non possono mettere in dubbio la coerenza logica di tale metodo
, né la validità dei risultati che esso ci permette di raggiungere .
Sottolineano però la sua estrema complessità ed il suo carattere poco
intuitivo , che rendono pressoché impossibile , quanto ci si avvalga unicamente
di esso , raggiungere nuovi risultati che oltrepassino quelli già conosciuti di
Archimede . Di qui la necessità , se non ci si vuole arrestare al livello dei
greci , di cercare coraggiosamente altre vie meno tortuose e più feconde di
quella classica .
Il punto più
caratteristico del metodo di esaustione consisteva nell’aggirare con opportuni
artifici l’ostacolo , che i greci
avevano ritenuto pericolosissimo , rappresentato dall’introduzione in
matematica dell’infinito , sia sotto forma dell’infinitamente grande sia
sotto forma dell’ infinitamente piccolo . La svolta operata dagli innovatori
doveva basarsi proprio sull’abbandono delle riserve tradizionali
nei confronti del ricorso all’infinito .
Il primo a
compiere un passo decisivo in questa direzione fu Keplero , che concluse la sua
famosa Nova stereometria doliorum ( Nuova misura del volume delle botti ) del
, ove sviluppò le sue
considerazioni di tipo infinitesimale per giustificare un criterio empirico
usato dai bottai austriaci , con un Supplementum ad
Archimedem ( Supplemento ad Archimede ) , ove i
volumi di alcuni complicati solidi vengono calcolato mediante la suddivisione di
essi in un numero ( tendente all’infinito ) di corpiccioli piccolissimi ( al
limite infinitesimi ) .
Un secondo
importante passo è compiuto da Cavalieri che introduce il famoso metodo
degli indivisibili
, basato sulla concezione delle linee come insiemi ( infiniti ) di punti e ,
analogamente , delle regioni piane come insieme di linee e dei solidi come
insieme di superfici . Egli è convinto che questo metodo , se bene applicato ,
non possa condurre ad errori , ma i fedeli di Archimede sollevano contro di esso
numerose obiezioni .
Il più
autorevole di tali fedeli è il gesuita Paolo Guldino , il quale obietta che il continuo è senza
dubbio divisibile all’infinito , ma non consta
di infinite parti in atto , bensì soltanto in potenza , le quali non
possono essere mai esaurite
. Emerge qui la distinzione ( risalente ad Aristotele ) fra infinito in atto ed infinito in potenza , che
costituirà uno dei temi centrali dei dibattiti intorno al nuovo calcolo .
Malgrado queste
obiezioni , Evangelista Torricelli accoglierà il metodo di Cavalieri ,
ampliandolo con l’introduzione degli indivisibili curvi , e riuscirà per questa via a conseguire risultati di grandissimo
interesse . Il più sorprendente di essi è che esistono “
solidi acutissimi “ i quali ,
pur estendendosi all’infinito , possiedono un volume finito .
Altri tre
generi di problemi , oltre a quelli finora considerati , conducevano
all’introduzione in matematica dell’infinito ( in grandezza o in piccolezza
) .
Ci limiteremo a
darne un cenno molto schematico . Il primo problema è connesso allo sviluppo
della meccanica . E’ noto che Galileo diede un contributo decisivo a questo
sviluppo , iniziando lo studio sistematico della cinematica . Sono proprio i
concetti più caratteristici della cinematica come quelli di velocità e di accelerazione che esigono di prendere in considerazione rapporti fra grandezze
infinitamente piccole . In termini moderni : la velocità è il
rapporto tra lo spazio percorso da un mobile e l’intervallo di tempo impiegato
a percorrerlo quando questo tempo tende a zero .
L’accelerazione
è l’analogo rapporto tra la variazione di velocità ed il corrispondente
intervallo di tempo richiesto per tale variazione , quando questo tempo tende a
zero .
Il legame tra
la meccanica ed il nascente calcolo infinitesimale si rivelerà sempre più
stretto ed essenziale nei prosecutori delle ricerche galileiane .
Il secondo tipo
di problemi che diedero un grande stimolo all’introduzione dell’infinito (
in grandezza e piccolezza ) nella matematica , è ancora di natura geometrica ,
ma non più legato alla determinazione delle aree e dei volumi bensì a quella
delle tangenti .
Gli antichi
matematici greci avevano preso in considerazione solo pochi tipi di curve ,
ideando di volta in volta qualche metodo particolare per la determinazione delle
tangenti alle principali fra esse ( circonferenze , ellissi ) .
Nel Seicento la
creazione della geometria analitica ad opera di Cartesio e Fermat condusse ad un radicale ampliamento del concetto di curva
e di conseguenza aprì la via al fondamentale problema della ricerca
delle tangenti ad una curva generica .
Furono
sufficienti semplici considerazioni geometriche per comprendere l’analogia fra
la tangente in un punto P della curva e le secanti che collegano tale punto con
un altro punto Q della curva . L’intuizione stessa ci mostra che la secante
si avvicina sempre più alla
tangente , allorché il punto Q si muove verso P .
Di qui a
considerare la tangente come una secante passante per P e per un punto
infinitamente prossimo a P , il passo è molto breve . Ma che significato
potremo attribuire al concetto di punti infinitamente prossimi uno all’altro ?
Furono
soprattutto i matematici francesi ( Fermat , Roberval , Pascal ) ad interessarsi
di questo problema . Il risultato di maggiore rilievo da essi ottenuto in tali
indagini fu la comprensione dell'enorme importanza spettante , nello studio di
una curva di equazione
, al suo cosiddetto “ triangolo
caratteristico
“ , cioè al triangolo rettangolo avente per ipotenusa la corda che collega il
generico punto P della curva ad un altro punto Q , situato sulla medesima curva
e molto prossimo a P , ed avente per cateti l’incremento
subito dall’ascissa e quello
subito dall’ordinata nel
passaggio da P a Q . le più elementari nozioni di trigonometria dimostravano
che la posizione della retta secante
dipende dal rapporto
fra i due incrementi anzidetti ;
onde segue che la posizione della tangente alla curva in P dipenderà dal limite
di questo rapporto quando Q tende a P , cioè quando
tende a zero .
Di qui l’importanza di sapere calcolare questo limite , cioè di sapere
calcolare quella che oggi chiamiamo la
derivata della funzione
.
Mentre la
ricerca delle lunghezze , delle aree e dei volumi è stata il punto di partenza
per il calcolo integrale , il problema della determinazione delle tangenti è stato il punto di
partenza per il calcolo delle derivate .
Tradotte in
termini più moderni , le ricerche volte a determinare lunghezze , aree e volumi
fanno parte del calcolo integrale , quelle dirette a determinare tangenti , punti di massimo o di minimo
, velocità istantanee ed accelerazioni istantanee fanno parte del calcolo
differenziale .
Risulta chiaro
da quanto detto che i due calcoli trassero origine da problemi notevolmente
diversi , pur caratterizzati tutti dall’applicazione di procedimenti infiniti
. Si trattava ora di individuare il rapporto tra tali generi di calcolo , il che
richiedeva come prima tappa il passaggio dal concetto di “ integrale
definito “ di
una funzione a quello di “ integrale
indefinito “ e
di comprendere poi che questo integrale è una nuova funzione , la cui derivata
risulta uguale alla funzione integranda . ( Teorema di inversione )
Il merito di
avere chiarito questo rapporto spetta a Newton e Leibniz , i quali vennero
considerati gli “ inventori “ dell’analisi infinitesimale , cioè del calcolo differenziale e
del calcolo integrale .
A volere essere
rigorosi si deve riconoscere che , pur avendo dato contributi fondamentali alla
sistemazione dell’analisi infinitesimale , né Newton né Leibniz riuscirono a
darle un assetto logico soddisfacente ( questo verrà raggiunto solo dai grandi
analisti dell ‘ Ottocento ed in particolare da Cauchy ) , sicché l’analisi
infinitesimale conserverà per tutto il Settecento un carattere aperto a dubbi e
perplessità .
Newton elaborò
il suo nuovo calcolo ( chiamato calcolo delle flussioni ) fra il
ed il
quando era poco più che ventenne ,
ma non pubblicò che parecchi anni più tardi gli scritti dedicati
all’esposizione delle proprie idee sull’argomento . Il linguaggio di Newton
è diverso dal nostro in quanto egli adopera il termine fluente per indicare una funzione ed il termine flussione per indicare ciò che oggi siamo soliti chiamare derivata .
Tuttavia Newton
enuncia con chiarezza le principali regole di derivazione ( calcolo delle flussioni a partire dalle fluenti ) e quelle di
integrazione ( calcolo delle fluenti a partire
delle flussioni ) , a determinare con esattezza il legame che intercede fra i due
calcoli , ad impostare e risolvere alcune equazioni differenziali , a farne
numerose applicazioni alla geometria ed alla meccanica .
Leibniz cominciò
ad interessarsi di analisi infinitesimale nel
, e poco dopo ebbe occasione di
entrare in contatto con l’ambiente dei matematici inglesi ( incluso lo stesso
Newton ) , contatto che lo stimolò a proseguire ed approfondire questo genere
di indagini .
La sua idea
maggiormente innovatrice fu quella die estendere le ricerche , compiute dai
matematici della generazione precedente , sul rapporto
fra i cateti del “ triangolo
caratteristico
“ , al caso in cui il numeratore ed il denominatore di tale rapporto non siano
più delle grandezze finite ma siano delle grandezze infinitesime .
Questa ardita
estensione lo condusse a sostituire al rapporto incrementale
il rapporto
differenziale
. In verità Leibniz non ci dice
esattamente che cosa siano i differenziali
e
, ma fornisce alcune regole precise
per operare sul loro rapporto ( cioè su quella che oggi chiamiamo la derivata di y rispetto ad x ) . Si tratta di regole identiche a quelle stabilite da Newton per le flussioni e che dimostrano una pari utilità nella risoluzione dei problemi
geometrici . In termini moderni potremmo dire che Leibniz determina il tipo di
algebra applicabile ai differenziali , scoprendo che essa risulta per molti
aspetti analoga alla solita algebra valida per le grandezze finite . Ciò che
distingue Leibniz da Newton non è soltanto la diversità delle notazioni da
essi usate , ma la sicura fiducia che Leibniz nutre nel nuovo calcolo , fiducia
che gli proviene dalla sua stessa concezione del mondo costituito da monadi
prive di dimensioni ( come i differenziali ) . Dal calcolo delle derivate , passò
ben presto a quello delle aree concepite come somme di indivisibili . Il segno
di integrale , da lui introdotto per indicare l’operazione che ci porta da
tali indivisibili alla misura della regione piana da essi riempita , ricorda da
vicino l’iniziale del termine sommatoria . Una geniale intuizione lo indusse a
comprendere che l’integrale di una variabile y , funzione della variabile
indipendente x , non deve fare riferimento alla sola y ma anche al differenziale
. E questo lo possiamo notare anche
dal simbolo che Leibniz propose :
.
Il simbolismi
leibniziano si rivelò subito estremamente felice , e permise di dare al nuovo
ramo della matematica un assetto sistematica assai soddisfacente .
L’indiscutibile
successo conseguito dalla formulazione leibniziana dell’analisi infinitesimale
non fu esente da inconvenienti , in quanto favorì una certa confusione fra
l’algebra degli infinitesimi e l’algebra delle grandezze finite , a tutto
danno di una trattazione rigorosa dell’importante argomento . Solo nell ‘
Ottocento i problemi ad esso connessi vennero notevolmente chiariti con la
dimostrazione che tutta l’analisi infinitesimale
classica si fonda sul concetto di limite .
Nella prima metà
del secolo XIX , Agostino Luigi Cauchy , dopo avere definitivamente sistemato
la teoria dei limiti , definì
, in accordo col Mengoli , l ‘ infinitesimo come una grandezza variabile avente
per limite lo zero . Così il calcolo differenziale veniva finalmente a trovare
la sua base sicura ed essere messo al riparo dagli attacchi che da varie parti
gli erano stati mossi . Precisati i principi , restava da compiersi una
revisione accurata di tutti i procedimenti e di tutte le proposizioni
dell’analisi infinitesimale . A questa opera critica si dedicarono , nella
seconda metà del secolo XIX insigni matematici tra i quali ricordiamo :
Weierstrass , Dedekind , Riemann , Cantor , Heine , Darboux , Ulisse Dini ,
Peano .
Il concetto
fondamentale su cui poggia tutta l’analisi infinitesimale moderna è quello di
limite e da essi deriva
immediatamente quello di infinitesimo . Chiamasi , infatti , infinitesimo ( secondo le vedute di Mengoli e
Cauchy ) ogni variabile numerica tendente allo zero ,
cioè ogni variabile che , in valore assoluto , può assumere valori minori di
un numero positivo scelto piccolo a piacere .
[1] Si dice che una grandezza variabile costituisce un infinito potenziale quando , pur assumendo valori finiti , essa può crescere al di là di ogni limite ; se per esempio immaginiamo di suddividere un dato segmento con successivi dimezzamenti , il risultato ottenuto sarà un infinito potenziale perché il numero delle parti a cui perveniamo , pur essendo in ogni caso finito , può crescere ad arbitrio . Si parla di infinito attuale quando ci si riferisce ad un ben determinato insieme , effettivamente costituito di un numero illimitato di elementi . Se per esempio immaginiamo di avere scomposto un segmento in tutti i suoi punti , ci troveremo di fronte ad un infinito attuale perché non esiste nessun numero finito che riesca a misurare la totalità di questi punti .
[2] Treccani : Vol XIX pag. 365 Integrale , Calcolo ; Boyer : Storia della matematica Pag. 108
[3] filologo
è colui che si dedica alla ricerca condotta con rigore di metodo e
scrupoloso amore della verità