Ci
mancava Pier Paolo Pasolini. Ci mancava il candore della sua intelligenza, la
sua fierezza, il suo coraggio. Ci mancava qualcuno che alzasse la voce come un
profeta disarmato, qualcuno che affrontasse la vita con la sua mitezza e il suo
furore. Dopo di lui, era stato il deserto. In pochi anni si era passati dalla
poesia alla poesiola, dal coraggio al calcolo breve. Tanti, degli intellettuali
in giro, scavavano buchi ai loro sogni e ogni giorno controllavano che dall’esterno
non si scorgessero tracce. Tanti intrecciavano collanine di parole e si
eccitavano sui loro suoni, scrivevano libri che tutti giuravano di aver letto e
nessuno leggeva. Tanti si dissanguavano con case editrici, che li tosavano come
pecore, imploravano un cenno dal critico amico, fotocopiavano sentimenti. Ogni
tanto scoprivano la ferocia del mondo, ma subito si ritiravano impauriti a
rimettere in fila parole, a commerciare emozioni, a svendersi per un applauso.