Eccoli,
arrivavano. Erano gli inviati dei grandi quotidiani. Bastava una temperata alla
matita, una verifica della carica della penna e via, il capolavoro era scritto.
Una boccatina d’aria a Lioni, uno struscio a Conza, un’intervista
"mordi e fuggi"con il sindaco del cratere e la verità sul terremoto
era ristabilita. Arrivavano come nugoli di mosche, a riempire pagine in un paio
d’ore, a spargere emozioni un tanto al chilo. Nella marmellata che colava dai
loro saggi, nelle macchie d’inchiostro riversate senza risparmio, si
confondevano i ladri e gli onesti, si smarrivano i nomi e i cognomi. Mai che
qualcuno si coprisse con un mantello a ruota, per decidere di rimanere un’ora
in più, per decifrare un percorso, per ritrovare un senso, per raccontare.
Così, dopo che il rombo delle loro auto si era allontanato, riprendevano i
vecchi e i nuovi intrallazzi, che nessuno di loro aveva avuto il tempo e la
voglia di scoprire.