Di
Nunno tornava ad Avellino. Arrivava ai Platani e li trovava ancora sbarrati.
Girava allora a sinistra, non perché così facesse da anni, ma perché a destra
c’era il muro. "Eccola, la mia città!", cominciava a pensare al
primo semaforo. E continuava a pensarlo per ancora mezz’ora, il tempo di fare
trecento metri nel traffico impazzito. "Che aria, che aria!",
sospirava trasognato, mentre intorno a lui, per lo smog, si consumavano i primi
svenimenti. " Quanta gente tranquilla e felice!", rifletteva
incantato, mentre l’ultimo ragazzo si bucava nell’angolo. " E che
pace!", aggiungeva, attraversando il deserto di vita dei quartieri di
periferia. " E il mio Corso, il mio marciapiedi!", si beava tra sé e
sé, con la commozione ormai al massimo, mentre l’auto scorreva tra i buchi e
le brutture della strada principale. Era proprio tornato, era di nuovo a casa
sua. Bentornato, caro sindaco, la città l’aspettava a braccia aperte.