L’agenda di Ciriaco era quasi piena. "Ore 10,
barbiere. Ore 11, passeggiata a Fontigliano. Ore 12, bocce." E già
pregustava il pranzo successivo, con la pasta fatta in casa. "Ore 14,
riposo. Ore 15 e 30, tressette". E sorrideva da solo, come se avesse già
vinto la partita. Poi, uno sgorbio: "ore 17, congresso: Pennetta". E
qui si fermava un istante, perché non riusciva a ricordare di quale congresso
si trattasse. Postelegrafonici? Pensionati? Casalinghe? Invalidi? Non gli
sembrava. Eppure era scritto, là, tra l’appuntamento con il callista e l’assaggio
del salame paesano. Poi, l’illuminazione: popolari, ecco di che si trattava,
popolari! Era il congresso provinciale del suo partito, che si teneva ogni
tanto: una giornata di libera uscita, un’occasione per spiegare la verità e
il verbo. Eppure c’era ancora qualcosa che non quadrava. Pennetta: cosa mai c’entrava
Pennetta in quella storia?