Arminio, il poeta, aveva torto. Aveva torto marcio. Si sarebbero ritrovate, le
delegazioni del centrosinistra. E non per parlare dell’Alto Calore, non per
spartirsi poltrone come cani rognosi intorno all’osso. Si sarebbero incontrate
per sapere come stava il ragazzo sfuggito all’overdose, se Giovanni di
Bisaccia era felice, se Piero di Andretta era ancora innamorato, se Andrea di
Calitri aveva finalmente trovato lavoro. Sbagliava, il poeta, sbagliava. Non
era, quella collezione di facce, una razza che si riproduceva con le sue
ignobili miserie, un gruppo di mezze tacche sostenute solo da uno spirito di
auto conservazione. Avrebbero portato nelle loro discussioni l’eco delle
parole sentite per le strade, delle speranze raccolte la mattina al mercato, dei
dialoghi dei bar, dei sorrisi per i corsi dei paesi. Quei grigi figuri avrebbero
finalmente scoperto di essere morti e che la vita, la vita vera, era altrove.