Finalmente la strada era trovata. C’erano volute lettere, cartoline,
telegrammi. C’erano voluti tentennamenti, ripensamenti, abboccamenti. C’erano
volute angosce e notti bianche, paure del buio, tentazioni. C’erano voluti
appuntamenti, toccamenti, svenimenti. C’erano volute esposizioni di ninnoli e
di ricordi, processioni di uomini, donne e travestiti, tammurriate e tarantelle,
lagrime e fazzoletti bagnati. L’Irpinia aveva vissuto sospesa, percorsa da
brividi, intimorita. Ambasciatori e re magi erano stati inviati sino ad Ariano,
per dissuaderlo, per convincerlo a non farlo. Nulla, nulla era valso a nulla.
Alla fine lo aveva fatto, alla fine si era deciso. Addio, monti sorgenti, addio.
Addio, il ribelle andava via. Qual era laggiù l’ approdo? Qual era la
coraggiosa meta? Dove portava l’eroico cammino? Alla nuova politica, al
limpido futuro, al volo nell’avvenire, al dio sconosciuto: a Giulio Andreotti.