Carissimo professore, ho terminato “il respiro del male”, inutile dirle che quando sarò ad Avellino prenderò anche gli altri suoi scritti e glielo riferisco lo assicuro non per piaggeria, che sarebbe priva di senso viste le circostanze, ma per una sorta di completezza dell’opera.
Quando a Milano ho ha avuto la fortuna di vedere “l’ultima cena” di Leonardo Da Vinci, è stato emozionante vederne da vicino tutti i particolari, ma allontanandomi di qualche metro: che spettacolo l’insieme.
Leggendo la sua ultima creazione ho avuto l’impressione, da subito, di essermi soffermata solo su un piccolo particolare di un grande affresco e voglio, ora, fare qualche passo indietro e ammirare l’opera per intero.
Ciò detto, mettendo da parte questa premessa, che spero non l’abbia annoiata, vengo al dunque e le scrivo il mio modestissimo parere su quello che ho letto; specificando che lo faccio da profana, non avendo i titoli per dar vita ad una vera “critica” , né essendo una “scrittrice” di successo come lei.
Sin dalla prima pagina ho respirato Avellino: l’ho rivista nelle strade conosciute, l’ho odorata nel vento di primavera, l’ho sentita nei rumori del corso. La descrizione del Liceo soprattutto mi ha toccato il cuore: che nostalgia, che emozione, grazie.
Sono sicura infatti, che indipendentemente dalle vicende narrate, il suo scrivere non vuole prescindere da questo “trasmettere Avellino”. Mi spiego: con le sue mirabili descrizioni, a mio parere, non ha fatto in modo solo di far conoscere o rivivere la città, ma cosa più importante, ha trasmesso, dei messaggi attraverso i quali viene fuori un grande amore per la propria città e la necessità di non perdere nel tempo il senso di appartenenza ad una comunità e ad una storia.
La scelta dei personaggi intorno ai quali far girare la storia non mi ha sorpresa del tutto perché solo un’amante dell’arte e del bello ed un’anima colta, come lei è sempre stato, poteva mostrare una sensibilità verso il mondo femminile così appassionata. La Claudia distrutta dalle vicende della vita, l’indifferenza “madre” della madre (mi scuso per il gioco di parole), Luisa e il suo vivere la malattia, Teresa che riversa sul sesso le sue insoddisfazioni, la commessa amica di Claudia che si copre la faccia di trucco per nascondere la povertà dell’anima, Elvira che denuncia con onestà.
Donne deboli ma anche forti perché trovano comunque un modo di affrontare i dolori o le delusioni che la vita offre.
Queste donne capaci di reagire, anche di fronte ad un vivere più sfavorevole, sono lo specchio di una società che evolvendosi ha dato loro una consapevolezza nuova. Ha dato loro un riconoscimento dell’emotivo e del personale, fino a qualche decennio fa del tutto ignorato.
Non è un caso che ad esse vengono contrapposti uomini raffigurati fragili. L’ispettore incapace di consolare Elvira, Bruno che non riesce a primeggiare sulla emancipazione intellettuale della moglie, Rino, ragazzo dall’animo disperso.
Dunque la mia riflessione è che il suo scrivere, per quanto le vicende esposte siano storicamente ben definite, è assolutamente attuale; appare evidente, leggendo, che quello che accade intorno non la lascia indifferente ma anzi viene migrato, viene sottolineato, viene quasi urlato nei gesti, nelle parole, nelle reazioni dei suoi personaggi.
Volutamente ultima la mia valutazione della figura del commissario Melillo.

Il commissario Melillo è lei; la sua anima è quella che dà vita a Melillo. Come non rivedere la sua immagine negli sguardi, nei mezzi sorrisi, persino nel modo di camminare. L’onestà intellettuale di Melillo è la “sua onestà”, quella che ha saputo trasmettere sapientemente a generazioni di studenti.
Il suo rapportarsi agli altri con rispetto è il messaggio che più mi preme sia da evidenziare, perché è quello che lei ha voluto “marchiare”(mi passi il termine), nei suoi studenti per anni ed è quello che vuole e deve continuare a imporre, se necessario, attraverso le sue pagine ben scritte.
Probabilmente in attimi di stanchezza o di dubbio le valutazioni del “professore” (la verità è che sono stanco….non riesci più a trovare un senso…. Non trovo questa relazione tra ciò che dico e i comportamenti che ne seguono…, ecc) , saranno stati suoi pensieri chissà quante volte. Proprio per questo, nelle mie riflessioni volontariamente non entro nel merito della coinvolgente storia narrata, intrecciata e poi svelata, ma mi soffermo soprattutto sulla valutazione che il suo libro è la prova che non è affatto stanco di voler trasmettere a chi ha la sensibilità di leggerne il significato intrinseco, un messaggio di grande pregio. E’ proprio per questo che le faccio, in definitiva, i miei complimenti e la ringrazio di avermi resa partecipe delle sue vicende editoriali.
Concludo ponendo una questione: la solitudine che avverte Melillo ogni volta che rimane da solo dietro una porta chiusa, è forse quella che avverte un professore di matematica che rimane in una classe vuota alla fine dell’ultima ora di lezione di un corso triennale di studio?....
La lascio con questa domanda e le rinnovo le mie congratulazioni per il lavoro svolto.
                                                                                                   Elena Torello

 

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