Avellino, citt immobile, secondo la prosa di Franco Festa, fa fatica a
cambiare, a muoversi, ad andare avanti e il suo ultimo romanzo, scritto in
maniera limpida (Il confine delloblio, Mephite, pagg. 257, euro 13) affonda il dolore negli anni Ottanta,
con il commissario Melillo che deve indagare sulla scomparsa di una giovane
fotografa e sulla morte di un portaborse dentro un cinema, ma la storia non
finisce certo qui, anzi, si allarga sempre pi, con la malinconia del vecchio
commissario giunto a pochi mesi dalla pensione. La pensione, per, in questo
caso, non tanto quella di un uomo abituato a infilarsi dentro le sconfitte
altrui, oltre che proprie, quanto di un luogo che striscia stancamente sulla
terra, appesantito dalla ricchezza del post terremoto. Corruzione, malaffare,
rabbie, connivenze scheggiano il romanzo in ogni pagina, i personaggi, come
Marco e Francesca, restano sotto questo peso e non solo loro, ma una citt
intera che non riesce a liberarsi del suo male; anzi, il terremoto, per Festa,
loccasione del male di cui approfittare a mani basse, aperte, rapaci,
voraci. La piazza, con lenorme ferita ancora aperta del palazzo crollato con
tanti morti, brulicava di vita impazzita, trai segni del passato e quelli del
presente. Dappertutto enormi transenne erano appoggiate ai fabbricati
pericolanti; cumuli di blocchi di tufo erano accatastati a ridosso delle
facciate. Oltre la via dello stretto, una volta centro di febbrili attivit
commerciali, pochi erano i negozi aperti, in una sequenza di usci sbarrati e
palazzi abbattuti. La vita si frantumava, per la salita del Duomo ancora
chiuso, si sfibrava per le stradine laterali deserte e silenziose, si smarriva
pi oltre, lungo Corso Umberto, ove il terremoto aveva squassato persone e
spazzato via tracce di ogni ricordo; fino al cuore primigenio, rampa
santAntonio Abate e rampa Fornelle, diventati solo
nomi vuoti, cumuli deserti, vomiti gelidi di ruspe accanite [] Al posto dei
bassi, delle case a pochi piani strette ai due bordi della strada, e di tutti
quei luoghi in cui ferveva la vita, ora stagnava solo unampia strada sterrata
in rapida discesa, un grumo grigio spianato. Era stato un lungo declino. Gi da
anni la citt aveva disprezzato e lasciato senza cura quei luoghi, e il
terremoto aveva solo sancito una fine lungamente annunciata. Questo lungo
brano, scritto in maniera magnifica, affonda dentro lIrpinia e la perdita
della (presunta) innocenza originaria; Melillo, indagando, spinge dentro la sua
stessa memoria (il cinema, luogo del delitto, ormai irriconoscibile) e scompone
il suo stesso sguardo. Festa non ricerca scritture intellettuali e non si
lancia in perorazioni dadaiste: piuttosto, attraverso una scrittura semplice e
profondamente umana, arriva subito al centro delle cose. Questo centro la
solitudine di quanti affannano e di quanti prendono, di quanti si difendono e
di quanti ritengono che la vita sia un affare illegale su cui investire. Il
finale non si racconta mai, n lo si vuole sapere, un po come la propria morte
che si preferisce ignorare fino alla fine; ma questo romanzo attacca
soprattutto la provincia senza lasciarsi corrodere dal suo veleno. E la storia
di alcune morti, anzi delitti, e anche di fughe, di abbandoni, di
incomprensioni, di adulti e giovani, di luoghi chiusi sempre chiusi e di luoghi
aperti che sembrano chiusi; per Festa, Avellino una citt a voce bassa e gli
stessi omicidi sembrano neve che cade sulla neve: non fanno rumore, ma cercano
di dileguarsi come fossero uno dei tanti, minuscoli fatti di un luogo. I dialoghi,
cos fitti nei gialli, sono ben strutturati, ritmati, solo ogni tanto lasciano
spazio a una certa enfasi che per non porta nessun intoppo, perch il romanzo
corre, corre su una malinconica strada senza uscita. Le nuove norme avevano
favorito lassenza di ogni controllo, la sovrapposizione di competenze, i
poteri di deroga concessi indiscriminatamente, il progressivo allargamento dei
benefici anche a chi non aveva subito alcun danno. Festa ha scritto un libro
che ha la piet degli uomini e il loro disincanto: i morti non sono quelli
ritrovati uccisi ma quelli che, rimanendo in piedi, hanno la pretesa di
credersi ancora vivi trasformando la citt in un gelido sepolcro.