Roma, 25 marzo 2009
Caro Franco,
innanzitutto scusami per lattesa. Purtroppo, i libri da
leggere (soprattutto di amici) sono tanti e il tempo tiranno deve essere diviso
quanto pi equamente possibile. Naturalmente, come dicevano i nostri vecchi, sparti
ricchezza e diventa povert!
Ma veniamo ai tuoi. La mia lunga esperienza nel mondo dello
spettacolo e soprattutto nel ramo produttivo ha generato alcuni guasti
professionali nel mio modo di leggere la narrativa, nel senso che non riesco
pi a farlo senza analizzare – quasi automaticamente - quale potrebbe
essere la soluzione possibile per uneventuale trasposizione su uno schermo.
Ci fa s che le mie sensazioni abbiano perso un poco dellemotivit che
accompagnava le mie letture giovanili e abbiano invece acquisita una maggiore
componente analitica, volta alla ricerca della coerenza tra intenzione e espressione
dellautore.
Nel leggere i tuoi scritti cՏ stata invece la sorpresa
– lieta e di cui ti ringrazio – di ritrovare proprio quella
componente emotiva giovanile. Non so – e non voglio analizzare – se
tale sorpresa sia tutta frutto delle tue capacit di coinvolgimento o se
abbiano giocato anche altri fattori: i ricordi personali legati ad Avellino e allepoca,
il mio attaccamento (peraltro poco appariscente, lo so, ma non per questo meno
profondo) a Federico, certi panorami e certe solitudini da convitto, le
atmosfere fumose di qualche serata al caff Lanzara o gli incontri, durante lo struscio,
del Corso di sguardi di qualche bella ragazza - rara, mi sembra, allepoca - e tuttavia fomentatrice di vane
speranze erotiche. Molto probabilmente s. Ma, son sicuro, non interamente.
Ci che si respira nei tuoi testi , infatti, una sorta di
saudade (uso il termine brasiliano perch non saprei come esprimere meglio
quel sottile velo di malinconia e, al tempo stesso, di nostalgia e di speranza
che caratterizza il suo significato) per qualcosa che cera e che non cՏ pi.
Qualcosa che scomparso non solo nella toponomastica del luogo, ma anche nel
tessuto etico e psicologico che caratterizzavano il nostro Paese e la nostra
mentalit fino a poco pi di tre o quattro decenni fa. Un cambiamento che mi
apparso evidente soprattutto grazie alla sequenza temporale dei tre testi e che
trova, nellultimo, i primi sintomi della sua attuale portata nei personaggi
del professore, di Guido P. e del giudice istruttore. Insomma, si sente gi,
si annusa, si comincia a distinguere quel progressivo sfaldamento di coscienza
sociale, di onest intellettuale, di responsabilit civica che, addizionato ad
una ipocrisia – anche istituzionale – sempre crescente, si sclerotizzato
in quella vera e propria volgarit del vivere che dei tempi attuali.
Infatti, lo sciacallaggio del 46 descritto ne La quinta notte, pur essendo uno dei
comportamenti sociali pi spregevoli che si possano immaginare, trova –
in un certo senso – una sua compensazione nella vergogna civica che per
esso si provava e che ad esso si accompagnava. Vergogna che, invece, sparisce
di fronte allo sciacallaggio non meno disgustoso (anzi, ancora di pi) dei dirigenti
dellAtra nei confronti degli impiegati o di fronte allarroganza del cugino
del potente, cos come diventa vigliaccheria istituzionale nel giudice
istruttore. Non soltanto, quindi, sparisce la vergogna ma al suo posto subentra
unaura dassoluzione, quasi un desiderio che la disonest civile, la volgarit
morale e il declino intellettuale siano addirittura assunti come parametri vincenti
di un modello di comportamento che trova, ai giorni nostri, premiazione e
consenso quasi unanimi.
Dunque, mi sembra che i tuoi tre bei libri – letti in sequenza
come ho fatto io – costituiscano anche un percorso possibile per una
presa di coscienza storica del degrado culturale e sociale che ha funestato,
funesta e – credo – continuer purtroppo a funestare la nostra
Italia, almeno fin quando un evento tragico e macroscopico non sar in grado,
una volta toccato il fondo, di farci ritrovare la voglia di salvarci dalla putrida
melma sociale in cui lentamente ma inesorabilmente stiamo affogando.
La solitudine del tuo commissario non allora solo emotiva
o professionale, ma soprattutto epocale, generazionale ed la stessa –
mi sembra – che accomuna molti di noi che hanno percorso ormai gran parte
del proprio cammino di vita dalla II.a Guerra ad oggi.
Ed interessante notare come due autori lontani per anagrafe,
esperienza e formazione come te e De Giovanni (letto accanto e in
contemporanea con i tuoi) arrivino a descrivere – pur nelle diversit stilistiche
e di contenuto - la stessa solitudine di un protagonista impegnato nella
lotta al crimine, quasi a stabilire una distanza fissa, immutabile, tra un
normale uomo di buona volont e i legacci della convenienza economico-politica,
sia pure in periodi storici tanto (?) diversi.
Ci che maggiormente mi ha colpito, per, la leggerezza
che caratterizza i tuoi racconti fatta di quella qualit auspicata e decantata
dal nostro Calvino in almeno una delle sue celebri Lezioni americane. Una leggerezza, cio, ben lontana dalla
superficialit o dalla frivolezza a cui spesso siamo abituati a connetterla e
che diventa, come giusto che sia, semplicit e vitalit di stile.
La mia natura di lettore corrotto dalla professione, per, non
poteva certo fermarsi alla sola emozione e questa mia letterina dunque frutto
di una doppia (o meglio duplice) lettura: emozionale e analitica; la prima, presentatasi
spontaneamente e la seconda, serpeggiante da e su automatismi professionali
radicati.
Detto dei risultati della prima lettura, non mi resta che
aggiungere qualche nota suggerita dalla seconda.
Pensando a quale potesse essere una chiave di trasposizione
sullo schermo, ho creduto di scorgere nel complesso della struttura narrativa
una scelta dimpostazione che mi sembra stia a met tra lesperimento fatto da Hitchcock
in Io confesso (si sa prima chi sia lassassino
e lindagine mostra il metodo seguito per scoprirlo) - esperimento che ha dato
poi vita a tutta la serie dei telefilm imperniati sul tenente Colombo – e
landamento narrativo classico (si sa chi lassassino solo alla fine dellindagine).
Nei tuoi testi mi sembrato di scorgere la volont di percorrere una terza
via, cio quella di far progredire lindagine non solo attraverso e con
Melillo, ma anche e contemporaneamente dando, di volta in volta, direttamente al
lettore informazioni sul vissuto profondo dei personaggi coinvolti.
Se tale analisi pu dirsi abbastanza vicina alle intenzioni
dellautore, ne consegue per una piccola difficolt di trasposizione in quanto
le informazioni non passate attraverso il protagonista tenderebbero a
disperdersi venendo a mancare quellunitariet identificativa che caratterizza il
rapporto dello spettatore e il suo transfert con il protagonista stesso. E
ci soprattutto quando, in alcuni casi, la descrizione accurata – ed accorata
– della vittima (Lultimo sguardo)
o del colpevole (La quinta notte) comporterebbe
– se applicata pedissequamente alla trasposizione - un coinvolgimento
emotivo dello spettatore che finirebbe per distrarne lattenzione. Il media film ha carattere di trasparenza
per eccellenza, rispetto alla opacit di quello letterario e questo spiega perch
il film coglie il nostro interesse con unimmediatezza (ma anche con superficialit)
sconosciute alla letteratura.
Tutte difficolt superabili - vero - da una buona
sceneggiatura, ma che tuttavia esistono e delle quali bisognerebbe tener conto.
Come lettore, ripeto, i tuoi libri mi hanno emozionato. Come
produttore (ma ormai non lo sono da troppo tempo per poter essere sicuro di
questa particolare capacit di cogliere il nocciolo dei problemi narrativi), mi
avrebbero creata qualche perplessit. Ora, poich non mi hai certo chiesto di leggere
le tue opere per conoscere il mio parere di produttore, ma amichevolmente per
coinvolgermi in quanto lettore, puoi fare a meno delle riserve del primo ed
accettare di buon grado i complimenti del secondo.
Spero di non averti annoiato o deluso troppo con queste mie
note che, daltra parte, non sono altro che un tentativo di fissare possibili
argomenti di una discussione, il cui piacere mi auguro di avere presto.
Un caro abbraccio,
Claudio.