LE FORZE NUCLEARI E LA FISSIONE
La materia come noi la conosciamo appare molto diversa se osservata su scala microscopica. Un tavolo, una sedia o un pezzo di vetro ci appaiono "pieni", ma sono in realtà molto più "vuoti" che "pieni". Se guardiamo una spiaggia sabbiosa anche solo da qualche decina di metri essa ci appare "materia uniforme". Non siamo in grado di distinguere i vari granelli di sabbia. Noi siamo comunque portati a pensare alla spiaggia come costituita da una miriade di granelli, ma solo perché sappiamo che è così: non siamo in grado di affermarlo sulla base di quello che in quel momento vediamo.
Se ingrandiamo progressivamente l'immagine di una superficie liscia, ci accorgiamo innanzi tutto che essa è tutt'altro che liscia: ingrandendo da 10 a 100 volte incominceremo a vedere la superficie, che ci appare levigata, come molto ruvida, scavata da profonde valli e scolpita di ripidi picchi. Le dimensioni caratteristiche di queste screpolature sono di circa 1/100 di millimetro, o meno. Avvicinandoci ancora di più, alla fantasticamente piccola distanza di 1/10.000.000 (1 decimillionesimo) di millimetro, incominceremo a vedere la materia come costituita da una miriade di strutture di forma rozzamente sferica, chiamate atomi. Queste entità potrebbero essere descritte, in un modo molto superficiale, così: un nucleo centrale costituito da un certo numero di protoni e di neutroni (non necessariamente in quantità eguali) strettamente impaccati. Ad una grande distanza orbitano i piccoli elettroni. Il numero dei protoni e quello degli elettroni sarà sempre esattamente eguale, in modo che le cariche elettriche del nucleo e di tutti gli elettroni siano sempre eguali e contrarie. Il numero dei neutroni è variabile. Rimane, tuttavia, un grosso problema: particelle di carica eguale si respingono e, per di più, si respingono tanto più intensamente quanto più esse sono vicine. Anzi dimezzando la distanza tra di esse la forza quadruplica d'intensità. Quindi i protoni del nucleo si respingono vicendevolmente, ed anche con molta violenza. Se esistessero solo le forza elettriche il nucleo non potrebbe mai stare insieme, sottoposto com'è all'intensissima forza repulsiva tra i protoni. C'è, è vero, la forza gravitazionale che tende a tenere insieme gli oggetti in virtù della loro massa, e senza curarsi della carica elettrica... Ma essa risulta fantasticamente meno intensa della forza elettrica, meno intensa di 10.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000 di volte. Quindi essa non ci aiuta a risolvere il nostro problema.
Ciò non di meno il nucleo esiste e questo è un dato di fatto. Siamo quindi costretti o a rinunciare ad ogni possibile spiegazione o a chiederci se esista un'altra forza, a noi sconosciuta, capace di tenere insieme il nucleo dell'atomo. L'esistenza stessa del nucleo atomico ci pone un problema inesplicabile sulla base delle conoscenze della Fisica Classica, ma ci indica anche la via per la ricerca di una possibile soluzione: l'esistenza di altre forze, le forze nucleari, capaci di tenerlo assieme. Evidentemente tutto ciò può sembrare semplicistico: se procedessimo per spiegazioni costruite "ad hoc" ogni volta che ci si presenta qualche fatto apparentemente inesplicabile, la scienza moderna non sarebbe mai nata. In effetti, si procede ad inserire nuovi concetti, solo se nessun altra spiegazione è possibile. E successivamente bisogna trovare un gran numero di conferme dell'ipotesi fatta. Nel caso nostro dovremo chiederci come la nuova forza agisca, per quali motivi non sia mai stata osservata in precedenza, ecc...
Questo lavoro fu svolto a partire dal 1930 circa da un vasto gruppo di fisici. Uno dei nuclei più attivi era il cosiddetto gruppo di via Penisperna, dal nome della via di Roma dove aveva sede l'Istituto di Fisica, diretto da Enrico Fermi. I loro punti di partenza erano due. Da un lato essi cercavano di capire meglio le proprietà di elettroni, protoni e neutroni, particelle all'epoca appena scoperte. Dall'altro essi cercavano di spiegare come la stragrande maggioranza dei nuclei fosse "stabile", cioè rimanessero inalterati nel tempo, e un piccolo numero, tra i più pesanti, generalmente artificiali, cioè creati in laboratorio, avessero vita brevissima: questi nuclei, detti radioattivi, tendono a spezzarsi in vari frammenti.
Prima di procedere oltre appare opportuno introdurre il concetto di isotopo. Bisogna precisare che tutte le proprietà di una atomo dipendono esclusivamente dal numero di elettroni (e quindi protoni) che esso possiede. Quindi, se ad un atomo di calcio aggiungiamo o togliamo un neutrone, questi rimarrà sempre un atomo di calcio. Gli atomi di uno stesso elemento che hanno un numero di neutroni diverso sono detti isotopi di quell'elemento. Tanto per fare un esempio, un nucleo composto da 20 protoni e 21 neutroni è uno degli isotopi del calcio. Qualunque nucleo composto da 20 protoni sarà ancora un nucleo di calcio. Ma gli isotopi, come quello con 21 neutroni per il calcio, tendono, con il passare del tempo a divenire stabili acquistando o cedendo neutroni. Queste reazioni sono dette reazioni radioattive e sono state studiate, per l'appunto, dal gruppo di Enrico Fermi per determinare le proprietà delle forze nucleari.
L'anno di massimo splendore delle loro ricerche è il 1934
Ritorniamo ora al problema centrale. Le forze nucleari devono essere intensissime, per poter tenere insieme, a distanza molto piccola, molti protoni con la stessa carica. Per di più esse devono essere praticamente inefficienti al di fuori del nucleo atomico stesso, altrimenti della loro esistenza ci saremmo accorti ben prima, così come accadde con le forze gravitazionali ed elettromagnetiche. Esse quindi saranno attive a distanze inferiori al miliardesimo di millimetro, ma inefficaci a distanze maggiori.
Diagramma qualitatativo delle forze tra due protoni in funzione della loro distanza. Nel tratto C ( d >10-14 m ) agiscono solo le forze repulsive coulombiane. Nel tratto B ( 10-15 m < d < 10-14 m ) si manifestano le forze nucleari che si oppongono a quelle elettriche. Nel tratto A ( d < 10-15 m ) prevalgono le forze nucleari attrattive. |
Le forze nucleari devono compiere un certo lavoro per mettere assieme il nucleo, partendo con protoni e neutroni isolati e avvicinandoli via via fino alle distanze alle quali essi si trovano all'interno del nucleo. Durante questa operazione le forze elettriche lavorano "contro", nel senso che esse tenderebbero a tenere i protoni, di carica uguale, il più possibile lontani gli uni dagli altri. Quindi per mettere insieme il nucleo dovremmo spendere una certa quantità di energia, esattamente eguale al lavoro che dobbiamo compiere. Questa energia rimarrà poi immagazzinata nel nucleo fino a quando qualcuno non lo rompa. Per ogni protone che avviciniamo ad una certa distanza ad un altro spenderemmo quindi una certa quantità di energia, energia che rimane poi imprigionata nella struttura che abbiamo creato.
Non tutti i nuclei sono fatti allo stesso modo, nel senso che le posizioni reciproche dei protoni in diversi nuclei sono diverse. Di conseguenza le energie spese nella costruzione dei diversi tipi di nucleo saranno diverse. Ogni tipo di nucleo avrà immagazzinata dentro di sé, quindi, una diversa quantità di energia, caratteristica del tipo di nucleo in questione. Tutto ciò è vero sia per i nuclei "naturali ", quelli cioè che si trovano in natura, sia per quelli "artificiali", cioè costruiti in laboratorio.
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Se prendiamo un nucleo di uranio, ad esempio, e lo rompiamo per ottenere due nuclei più leggeri, è possibile che nei due nuclei più leggeri sia immagazzinata in totale meno energia di quanta ne era immagazzinata originariamente nel nucleo di uranio. In questo caso nel rompere il nucleo avremo un guadagno netto di energia. Ciò non è obbligatorio. A priori anche la situazione opposta potrebbe essere legittima: cioè che nel nucleo iniziale sia immagazzinata meno energia che nei nuclei ottenuti dalla sua rottura. In questo caso per spezzare il nucleo saremo noi a dover fornire l'energia mancante. Per i materiali più pesanti accade proprio che l'energia totale dei due nuclei residui ottenuti dalla frammentazione di quello originario sia minore dell'energia di partenza. In questo caso l'energia disponibile viene immediatamente liberata. Questo è il principio della fissione nucleare. Fissione significa rottura, frammentazione.
Possiamo ora chiederci cosa accade fondendo due nuclei più leggeri in uno più pesante. Anche in questo caso ci sono, a priori, due possibilità: o l'energia immagazzinata alla fine nel nucleo più pesante è maggiore o è minore di quella originariamente immagazzinata nei due nuclei più leggeri. Nel primo caso dovremmo spendere energia, nel secondo ne guadagneremmo, realizzando la fusione. Questo è il principio della fusione nucleare.
Bisogna stare attenti a non confondersi: o si guadagna energia fondendo due nuclei in un certo nucleo, o la si guadagna spezzando lo stesso nuclei nei due più leggeri. Il fatto di poter guadagnare energia in entrambi i casi è escluso: si potrebbero produrre quantità illimitate di energia, ripetendo il ciclo di fissione-fusione, dal nulla. In effetti ciò che risulta conveniente è o spezzare nuclei pesanti in nuclei medi o fondere nuclei leggeri in nuclei medi. Quindi abbiamo due possibili tipi di "carburante" per le reazioni nucleari: o nuclei molto pesanti come uranio o plutonio(fissione), o nuclei molto leggeri come idrogeno o elio(fusione). In generale potremo quindi affermare che i nuclei di peso intermedio immagazzinano meno energia sia rispetto a quelli pesanti, sia rispetto a quelli leggeri.
Quando compiamo un processo di fissione o di fusione, in entrambi i casi partiamo con più energia immagazzinata di quanta ce ne sia alla fine nei cosiddetti prodotti di reazione. Dove finisce l'energia mancante? Essa viene liberata ed è immediatamente disponibile per qualsiasi altro uso. Come viene liberata energia? Essenzialmente in due modi: o sotto forma di calore, quando il combustibile si riscalda insieme a tutto quello che lo circonda, o sotto forma di particelle veloci che si allontanano. Il primo meccanismo è molto familiare: è lo stesso che usiamo per far bollire una pentola d'acqua liberando energia con la fiamma del gas. Il secondo meccanismo è, invece, possibile perché non è detto che tutti i protoni, i neutroni e gli elettroni inizialmente a disposizione finiscano poi nei nuclei residui. Quelli che avanzano si allontanano velocemente dalla zona di reazione portando con sé parte dell'energia liberata proprio come fa un proiettile in moto che, grazie alla sua energia, riesce a penetrare un materiale o a rompere un vetro.
Il problema successivo è capire se questa energia sia disponibile per scopi pratici. Un uso militare, ad esempio, richiederebbe non solo la disponibilità di una grande quantità di energia, ma anche che essa sia effettivamente disponibile in un tempo molto breve: molta energia a disposizione in un tempo molto breve significa poter provocare un'esplosione. Molta energia disponibile, ma su tempi relativamente lunghi, significa, invece, disporre di una fonte di energia alternativa per usi civili ed industriali.
E' risaputo che i nuclei di molti atomi sono stabili cioè, se lasciati in disparte, rimangono inalterati nel tempo. Questi sono i nuclei della maggior parte degli elementi naturali. Altri nuclei sono instabili, cioè si frammentano in un tempo brevissimo di circa 1 milionesimo di miliardesimo di secondo. Questi nuclei sono ovviamente assenti in natura: appena se ne forma uno per un qualunque motivo, subito esso "scompare" per fissione nucleare. Altri nuclei sono semi-stabili: cioè tendono a rompersi in un tempo relativamente lungo, da qualche secondo a qualche milione di anni. Questi nuclei esistono in natura, sebbene in piccole quantità, e vengono chiamati "debolmente radioattivi". Per stimolare i nuclei debolmente radioattivi bisogna, in qualche modo, modificarli. Uno dei metodi più semplici per sbilanciare qualcosa o qualcuno è quello di urtarlo. Così è anche per questi nuclei: se vengono urtati da un neutrone, ad esempio, essi tendono a decadere, cioè a rompersi, immediatamente. Quindi, concentrando in un piccolo volume notevoli quantità di un materiale debolmente radioattivo possiamo sperare che alcuni dei neutroni prodotti nelle(poche)fissioni naturali che avverrebbero comunque vadano a colpire altri nuclei, rendendoli instabili, provocando altre fissioni, e così via. Se riusciamo a far autoalimentare questo processo a catena, otterremo rapidamente una grande quantità di energia. Questo meccanismo è quello che sta alla base della costruzione delle cosiddette bombe nucleari a fissione, cioè quelle il cui meccanismo di produzione di energia si basa sulla fissione di nuclei pesanti in nuclei più leggeri.
Due elementi si sono rivelati particolarmente utili per la costruzione di
questo tipo di bombe: l'uranio ed il plutonio. E' indispensabile adesso
introdurre la convenzione normalmente utilizzata per identificare i vari isotopi
dei diversi elementi: essi vengono normalmente indicati con un numero in alto a
sinistra seguito da una o più lettere, dove il numero indica la somma dei
protoni e dei neutroni presenti (è detto massa atomica e si indica con A) e,
chiaramente, la lettera (o le lettere) identifica l'elemento chimico di
appartenenza. Sapendo che ogni atomo è caratterizzato da un ben definito numero
di protoni, e quindi di elettroni, chiamato numero atomico (che si indica con
Z), risulta ben chiaro che il numero di neutroni presenti in un atomo sarà dato
dalla differenza della massa atomica con il numero atomico (numero neutroni = A
- Z). Un esempio: considerando l'atomo di deuterio 2H (che è un
isotopo dell'idrogeno) e sapendo che l'atomo di idrogeno ha il numero atomico
uguale a 1 si può risalire facilmente al numero di neutroni dato da 2 (massa
atomica) - 1 (numero di massa) = 1 (numero dei neutroni presenti nell'atomo). In
natura si trovano normalmente diverse percentuali dei vari isotopi dello stesso
elemento. L'ossigeno naturale, per esempio, è composto prevalentemente
dall'isotopo 16O, ma anche piccole percentuali di altri isotopi con 8 protoni ed
un numero variabile di neutroni sono presenti.
La scoperta della fissione nucleare è dovuta in larga parte agli esperimenti di
Fermi, il quale per primo bombardò con neutroni l'uranio naturale, durante gli
anni '30. L'uranio è il più pesante degli elementi chimici naturali. Il suo
nucleo è composto da ben 92 protoni ed un numero variabile di neutroni. In
massima parte l'uranio naturale è costituito dall'isotopo 238U, cioè
con 238 - 92 = 146 neutroni. Ma, mescolato ad esso nella percentuale dello 0,7%
si trova anche l' 235U, con 143 neutroni. L' 235U è
debolmente radioattivo: su 100 nuclei di 235U se ne spezzano 50 in
media in un tempo di 4,5 miliardi di anni. Un processo di fissione naturale
estremamente lento. L' 236U è invece un nucleo instabile e non esiste
in natura. Se bombardiamo con neutroni dell'uranio naturale, la maggior parte di
essi andranno contro i nuclei di 235U, formando il nucleo instabile
236U il quale immediatamente si scinde. Si osserva quindi in questo
esperimento un aumento della radioattività naturale: i nuclei di 235U
si scindono ad un ritmo accelerato rispetto a quello naturale a causa del
bombardamento di neutroni.
Da un punto di vista militare, il fatto che la maggior parte dell'uranio
naturale sia composta da 238U non è piacevole. Per costruire
un'efficiente bomba a fissione all'uranio bisognerà innanzi tutto separare l'
235U dall' 238U. Si è detto che concentrando una data
quantità di materiale debolmente radioattivo, man mano cresce la probabilità che
alcuni dei neutroni emessi nelle(poche) reazioni naturali colpiscano altri
nuclei nelle vicinanze, provocando reazioni indotte. Quindi la radioattività
naturale crescerà progressivamente, man mano che si aggiunge altro materiale.
Per ogni materiale fissile, cioè in grado di subire una fissione nucleare,
esiste una quantità minima di materiale che bisogna concentrare per provocare
un'esplosione nucleare. Questa quantità viene detta massa critica.
Una sfera di 12 cm di diametro. Queste dimensioni aveva la sfera di 235U usata per la costruzione della prima bomba atomica.
Per l' 235U la massa critica è di circa 16 Kg equivalente ad una
pallina del diametro di 12 cm. Ovviamente sarà opportuno rimanere ben lontani
nel momento in cui si riescano ad ottenere i fatidici 16 Kg: non appena
raggiunti la pallina di uranio esploderebbe spontaneamente. La prima bomba di
questo tipo esplose il 16 luglio 1945, per prova, ad Alamogordo nel Nuovo
Messico (vedi progetto Manhattan), una zona desertica degli stati uniti. Essa
era costituita da due pezzi di 235U: una sfera di 12 cm di diametro,
con un foro cilindrico nel mezzo e poi un cilindro che entrasse perfettamente
nel buco. Fino a che il cilindro è fuori dalla sfera nulla accade tranne un
piccolo aumento della radioattività. Una piccola bomba al tritolo spingeva
quindi il cilindro dentro la sfera e, poiché erano stati raggiunti i 16 Kg di
massa critica, si innescò istantaneamente un'esplosione nucleare. La seconda e
la terza bomba, all'uranio ed al plutonio, esplosero rispettivamente il 6 ed il
9 agosto 1945 su Hiroshima e Nagasaki.
Le bombe al plutonio funzionano esattamente allo stesso modo: solo il
combustibile nucleare è diverso trattandosi dell'isotopo 239Pu del
plutonio. Il plutonio è un elemento artificiale, cioè non esiste in natura. Ciò
indica che tutti i suoi isotopi sono fissili: la scelta dell'uno o dell'altro è
solo una questione tecnica. Due sono le principali controindicazioni della
fissione, che indussero a cercare di costruire bombe nucleari a fusione. La
prima è connessa alla scarsità di uranio e di altri materiali fissili in natura.
Questo rende estremamente costosa la ricerca e la preparazione del materiale.
Per aumentare la potenza esplosiva dobbiamo comunque aumentare la quantità di
combustibile nucleare utilizzata. La seconda ragione è connessa all'aumento di
radioattività di cui abbiamo parlato: il materiale fissile, anche se non ha
raggiunto la massa critica, è comunque abbastanza concentrato all'interno di una
bomba; il numero di fissioni che avvengono aumenta, rispetto ai livelli
naturali. Dopo qualche anno il combustibile nucleare, originariamente puro, è
così contaminato da non essere più in grado di esplodere.
La fissione nucleare, cioè la frammentazione di nuclei più pesanti in nuclei più leggeri, non è l'unica strada possibile per liberare energia nucleare. Anche la "fusione nucleare" di nuclei leggeri, come l'idrogeno, in nuclei più pesanti è un processo in grado di liberare energia. Anzi la fusione è un fenomeno di gran lunga più frequente in natura. Tutte le stelle sono composte in larghissima percentuale di idrogeno ed elio. La materia stellare si trova in condizioni estremamente diverse da quelle a noi abituali, con valori elevatissimi di pressione e temperatura. Queste altissime temperature e pressioni sono in grado di realizzare ciò che alle nostre condizioni è difficilissimo: comprimere i nuclei l'uno così vicino all'altro, lavorando contro le forze di repulsione elettrica, tanto da permetterne la fusione. Ricordiamo infatti che tutti i nuclei sono carichi positivamente. Quando cerchiamo di avvicinare due nuclei per fonderli, essi tendono a respingersi.
Come si è già detto, la massima distanza alla quale le forze nucleari sono attive corrisponde all'incirca alle dimensioni stesse del nucleo. Pertanto fino a quando i due nuclei sono separati essi sono soggetti alla sola forza elettrica repulsiva. Solo quando riusciremo a portarli così vicini da "toccarsi" allora le forze nucleari potranno entrare in gioco permettendone la fusione. E' come se ci fosse in cima ad una collina un profondo buco che termina più in basso dell'altezza stessa della collina. Se vogliamo far cadere un masso in quel buco, guadagnando così una grossa quantità di energia, dovremmo prima farlo salire spendendo una certa quantità di energia. La situazione per la fusione nucleare è simile. Fino a quando i due nuclei sono separati, per avvicinarli dobbiamo compiere un lavoro contro le forze elettriche repulsive, come per portare il masso in cima alla collina. Quando i due nuclei arrivano a contatto, allora le forze nucleari possono liberare una grande quantità di energia, come quando, arrivati finalmente in vetta alla collina, lasciamo cadere il masso dentro al buco. Il grande lavoro svolto contro le forze elettriche per avvicinare i due nuclei fino a toccarsi viene molto più che ripagato dall'energia nucleare liberata dalla fusione.