I ragazzi lasciavano la scuola. Gli esami finali si consumavano tra colloqui universali su Schopenhauer e Virginia Woolf, lacrime, abbracci. Poi era la sospensione dell’anima, il futuro. I ragazzi sembravano decisi a chiudere con il passato, a diventare attori su una nuova scena. E ognuno usciva dalla scuola con il respiro tirato, pronto a resistere al vento che sarebbe spirato contro. Per una volta, bisognava provarci. Attraversare la zona d’ombra, crederci. A chi toccava tracciare la strada, sistemare i segnali? Dotti ingegneri disegnavano città future. Borgomeo parlava di un mondo tutto ancora nella sua testa, con giovani imprese e squarci immaginifici di patti territoriali e di contratti d’area: per ora, però, aria fritta e masticata. Era comunque un futuro tutto da inventare, che chiedeva al presente qualità, disinteresse e fantasia. Ma chi vendeva questa merce rara, nel misero quadretto della politica locale?