De Stefano era legato al palo della nave. Il capogruppo popolare oscillava, sotto il canto delle sirene. Ingegneri e architetti gli sussurravano canzoni dolci, irresistibili."Vieni con noi, piccolo, vieni! Lascia stare l’assessore Abate! Guarda com’era bello, prima! Guarda che bella città abbiamo contribuito a costruire!". E a De Stefano appariva una città ordinata,verde, non divorata dal cemento. " Che bello, che bello!"diceva, senza accorgersi che era tutto finto, che era solo un effetto del canto ammaliatore. E stava per cedere, per mandare all’aria la variante di salvaguardia. Poi l’aria era attraversata dallo schiocco di una frustata, che veniva da lontano. Era Di Nunno che, seppur malato, continuava a far sentire la sua presenza. Bastava poco, tre o quattro scudisciate, e De Stefano usciva dall’incanto e giurava, disinfettandosi le ferite, di non caderci più.