Veltroni aveva perso un’occasione: restare in Africa. In quella terra disgraziata serviva di tutto, dai volontari ai segretari di partiti in declino. E invece no. Era tornato e aveva scritto un libro, in cui, al solito, volava alto. Ora veniva ad Avellino, a dialogare con De Mita. Anche Ciriaco, era noto, volava alto, solo che, sfortunati noi!, non era andato in Africa. Nell’uditorio, nell’attesa dei due big, si disponevano sacchetti di sabbia. Servivano per impedire che i due, volando alto, fossero risucchiati dalla tromba dell’ascensore e si sperdessero nel cielo. Veltroni avrebbe parlato di sogni, di bisogni, di speranze, di occasioni perdute, di treni da prendere, di coincidenze e di scambi ferroviari. De Mita, al solito, soliloquiando, lo avrebbe ripreso, corretto, rettificato. Poi sarebbero atterrati nel mondo cinico e crudele, l’uno inciampando su un D’Ambrosio e un Aurisicchio, l’altro su un Pennetta e un De Luca.