D’ Ambrosio non ci poteva credere. Il Mosè dei diessini vagava per la citta’, mentre Bassolino dialogava con l’odiato Ciriaco. " E a me, chi pensa a me?", sbraitava per le strade. Si inerpicava nelle periferie, si immergeva nella loro desolazione, sfiorava i ragazzi che nei bar aspettavano senza speranza che il giorno finisse. Ma non vedeva, non coglieva, non capiva. La città era per lui quella favola di cartone che la sera gli raccontava Di Nunno, quando D’ Ambrosio lo metteva a dormire. E poi, e poi…cosa contava quello squallore, quella disperazione, quel tempo fermo, rispetto ai suoi dolori? Nulla, meno di nulla. "Ciriaco, ti sbranerò!", gridava alla luna. "Bassolino, non me lo dovevi fare!",singhiozzava ai cani randagi. E continuava a combattere con le ombre e i fantasmi, mentre la città vera lo chiamava invano, con le sue pene irrisolte e i suoi problemi amari.