"Chiamami Ciriaco!", sembrava dire Michele D’Ambrosio. Assiso in mezzo al pubblico, riceveva in consiglio comunale ad Avellino i baciamano di assessori e consiglieri. Per anni l’onorevole non era stato capace di distinguere tra via Piave e via Roma; ora la città la scopriva tutta insieme, per salvarla. Era questo il suo problema, la sua mania: se non salvava qualcosa o qualcuno, la notte non dormiva. Che si trattasse di uomini dall’ errore o di colline dalla speculazione, faceva poca differenza. L’importante era compiere la buona azione. Come uno stregone, esaminava da una vita le vittime del malocchio, bruciando quelle irrecuperabili ed esorcizzando quelle inquiete. La sera, prima di chiudere gli occhi, segnava sul suo taccuino i fioretti del giorno( i consiglieri indirizzati, i compagni recuperati, la provincia avviata sulla retta via) e, appoggiandosi sul suo letto in pelle umana, si concedeva finalmente al giusto sonno.