"Salviamo la fiorentina!", aveva detto Pecorario Scanio. E il Napoli? E il Genoa?, avevano gridato i tifosi in tutta Italia. Era il tempo dei salvatori di capre e cavoli. Anche Angelo Flammia si era risvegliato, animato da queste ciclopiche volontà."Chi è costui?" si erano chiesti i ragazzi del Cineplex tra una coca e una pizzetta. Era uno che, nientemeno, voleva coniugare etica e politica. "Dio mio, va chiuso!", avevano vociato i giovanetti, tra un cellulare che trillava l’Internazionale e un altro che ronzava Faccetta nera. Forse si trattava solo di divagazioni elettorali, di chiacchiere da bar dello sport: se ne aprivano tanti in questo periodo, anche in carta stampata, che si sarebbero squagliati al sole tra qualche mese. Altrimenti, quel Flammia andava davvero internato. Bastava serrarlo in una stanza, con foto a piacere di De Luca e di Adiglietti, di Zecchino e di Aurisicchio e ogni voglia di rinnovamento gli sarebbe subito passata.