"Piccola città, dove non succede niente", recitava una canzone. In quella piccola città, dove non succedeva niente, era successo invece di tutto. Un clan di piccoli e grossi delinquenti aveva creato nel circondario un clima di terrore e di sopruso: omicidi, attentati, violenze, erano diventati per mesi pane quotidiano. E i malviventi non erano di altrove, come spesso si ripeteva, non venivano da fuori, ma erano di questa città e dei comuni tutt’ intorno. Una parte del territorio aveva ceduto, complice o collusa, un’altra , la più civile e coraggiosa, aveva fatto muro. Anche poggiandosi a questo muro le forze dell’ordine erano intervenute, con intelligenza, competenza, disinteresse e senso dello Stato e il pericolo era stato sventato. Ma rimaneva la ferita aperta di una città che si scopriva diversa e l’eco amaro di una domanda alla quale occorreva una urgente risposta: perché tutto ciò era potuto accadere?