Lo specchio del centrosinistra era in frantumi. Le schegge erano volate dappertutto ed ognuna aveva rubato un frammento di verità. Su uno spicchio era rimasta impressa la forma di uno schiaffo, su un altro la traccia di un pugno, su uno più grande il segno di uno sputo. Intanto chi aveva contribuito a spaccare tutto in mille scaglie giurava, con una vocina ridicola, di non c’entrarci e faceva finta di cercare la colla. Ma il quadro che ne usciva era da brivido: le mani sotto i piedi, il sedere al posto della faccia, il braccio attaccato al ginocchio. Eppure, intorno, molte persone cercavano un angolo di luce, uno specchio pulito contro l’arroganza che avanzava da destra. Molti pensavano che occorresse uno scatto di dignità, un atto di coraggio, per ricostruire un sentimento. Ma la scena era ancora occupata dagli sfasciacarrozze e dagli azzeccagarbugli, che cercavano di nascondere dietro montagne di blablabla la loro nullità.